Carabinieri

Carabinieri: dal valor militare a quello civile

La virtù della solidarietà nel Dna dell’Arma: quello risorgimentale prima; quello resistenziale e costituzionale poi; europeo e sovranazionale ora e domani.

Caro direttore, nel Dna dell’Arma dei Carabinieri, la «Benemerita», accanto al valore militare c’è sempre stato il valore civile. Nella lunga catena di calamità nazionali che hanno segnato la vita del paese l’Arma è stata sempre in prima linea, con solidarietà ed efficienza.

L’impegno civile dell’Arma è altresì la difesa della legalità e la lotta all’eversione e alla criminalità: con efficienza e generosità spesso a prezzo della vita. Alla solidarietà e alla fedeltà si lega da due secoli il Dna dell’Arma: da quando, il 13 luglio 1814, con le Regie Patenti di Vittorio Emanuele I, venne istituita come «corpo militare per il mantenimento del buon ordine», con la partecipazione di militari «per buona condotta e saviezza distinti».

Il contributo dell’Arma alla solidarietà nazionale acquista nuovo valore alla luce del principio di «ripudio della guerra» (articolo 11 della Costituzione) con gli interventi umanitari e di supporto alla pace all’estero oltre che— se necessario — alla difesa dalle aggressioni. I tre profili — civile, militare, internazionale — caratterizzano tuttora l’identità ed il DNA dell’Arma e dei suoi appartenenti: quello risorgimentale prima; quello resistenziale e costituzionale poi; quello europeo e sovranazionale ora e domani.

Il prestigio e i sacrifici del passato, l’impegno ininterrotto di fronte ai rischi del presente (pandemia, guerra, crisi sociale), meritano un rispetto ed un augurio che riguardano le istituzioni; è difficile trovarne di più meritorie dell’Arma. In troppo frequenti occasioni si sente la necessità che procedure interne e «protocolli» vengano adeguati a un tempo in cui il controllo sociale (e ancor più quello… social) «pretendono» verifiche e riscontri immediati.

Una forza armata con funzioni investigative, di sicurezza e di polizia, ha bisogno di riserbo per operare efficacemente. Chiederle più trasparenza è una contraddizione solo apparente: la trasparenza delle procedure e il rigore, nel rendere conto con tempestività e precisione del proprio operato alla catena di comando, rappresentano il modo migliore per tutelare l’Arma rispetto al fisiologico rischio di comportamenti devianti o anche solo di errori di alcuni suoi appartenenti.

Il discredito che ne deriva presso l’opinione pubblica genera diffidenza. Si può e si deve dolersene; si deve tenere conto del necessario bilanciamento tra i compiti d’istituto e i diritti delle persone e della collettività. 

I diritti delle persone sono ancor più fondamentali quando siano legittimamente sottoposte a indagini, controlli e provvedimenti restrittivi; soprattutto oggi, quando lo straordinario progresso tecnologico può alterare a favore della sicurezza l’equilibrio fra essa e la libertà.

I diritti della collettività sempre più chiedono informazione — fondamentale per la democrazia — nel duplice senso della responsabilità e del render conto (racchiusi nella accountability).

Da ciò l’opportunità di riflettere su alcuni profili fondamentali ricordati ancora pochi giorni addietro dalla presenza del Presidente della Repubblica al duecentesimo compleanno della prima scuola per allievi carabinieri a Torino.

Sono i principi costituzionali e la loro traduzione nella legislazione e nell’assetto regolamentare; sono la formazione culturale, professionale, tecnica e operativa che ne deriva alla luce di quei principi; sono le nuove risorse tecnologiche e le regole per la loro utilizzazione nei compiti di istituto nel rispetto dei diritti di tutti; sono la trasparenza, la partecipazione e la responsabilità quali principi cardine per l’assetto organizzativo e funzionale dell’Arma nella società italiana di oggi e di domani.

L’Arma mi sembra per fortuna (sua, delle istituzioni e di tutti noi) non da ora già impegnata in questo percorso; credo sia interesse di tutti che esso venga portato a termine nel modo migliore.

di Giovanni Maria Flick per il Corriere della Sera .

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