CARABINIERI A SCUOLA DI TASER, MA SOLO I CAPI PATTUGLIA
Il manichino indossa un abito rosso da donna, una felpa blu. Sta appoggiato al muro di cemento.
Il carabiniere in piedi, di fronte, a cinque metri di distanza. Il colpo rimbomba sordo nel poligono della caserma «Montebello». La «pistola» è massiccia e gialla. E l’effetto, dopo l’«esplosione», si può ricostruire a vista: due piccoli dardi si sono agganciati all’abito del manichino, due fili sottili collegano ancora i dardi e la pistola.
Attraverso quei fili, quando verrà usata davvero, scorrerà la scarica elettrica in grado di immobilizzare una persona per 5/6 secondi. Ieri è partito l’addestramento. E dal 5 settembre i carabinieri del Nucleo radiomobile (con le Volanti della polizia e la Guardia di finanza) inizieranno la sperimentazione del taser, la «pistola elettrica». «Non è un’arma in più — riflette un militare impegnato nelle prove — ma uno strumento che ci permetterà di risolvere alcune situazioni davvero critiche, e di grande pericolo, senza dover usare la pistola».
La legge che definisce la sperimentazione del taser in Italia(partirà nelle maggiori città) è del 2014. Il decreto che l’ha messa in moto è rimasto a lungo in letargo ed è stato firmato il 4 luglio scorso. Il taser è già usato in Francia, Inghilterra, Olanda. L’esperimento durerà tre mesi e poi se ne valuterà l’efficacia, con l’obiettivo finale di farlo diventare una dotazione fissa. Lunedì i carabinieri del Radiomobile hanno iniziato il primo di tre giorni di addestramento, introdotti dal comandante provinciale Luca De Marchis.
L’esempio di base per capire come potrà essere impiegata la pistola elettrica è questo: una persona in fortissimo stato di agitazione, magari sotto l’effetto di alcol e droghe, armato di un coltello, un offender che dunque rappresenta un pericolo imminente per cittadini e forze di polizia che devono provare a contenerlo. Fino a ieri, tra lo spray urticante (spesso non efficace in caso di grande «alterazione») e il ricorso alla pistola, non c’erano soluzioni intermedie: il taser si inserisce proprio tra quelle due possibilità; è uno «strumento in più di graduazione della forza» prima di ricorrere all’arma da fuoco (che si «sposta» verso i casi ancora più estremi).
Non tutti gli equipaggi di carabinieri e polizia avranno la nuova arma. Al Nucleo Radiomobile, il taser (sul lato sinistro del cinturone) lo porteranno i capi pattuglia di due equipaggi. E saranno gli unici a poterlo utilizzare. In questi tre giorni di addestramento i carabinieri stanno approfondendo aspetti tecnici, giuridici e sanitari. A partire dalle «regole di ingaggio». In caso di necessità, il carabiniere dovrà estrarre il taser e mostrarlo alla persona (è stato scelto un modello di un giallo acceso proprio perché risalti di più), poi potrà anche accendere un piccolo raggio elettrico di avvertimento, una sorta di riproposizione del vecchio «mani in alto».
Se la persona non dovesse buttare la sua arma, allora si potranno sparare i due piccoli dardi che rilasciano una scarica elettrica di 5 secondi, in grado di provocare contrazioni involontarie che immobilizzano un uomo. In ogni caso, dopo aver usato la «pistola», sarà obbligatorio chiamare un’ambulanza.
I carabinieri stanno lavorando con gli specialisti del «Centro di perfezionamento al tiro» dell’Arma; l’analisi prima della sperimentazione è stata fatta con una commissione del ministero della Salute. Uno dei temi dibattuti intorno al taser è il rischio che possa provocare un arresto cardiaco. Su questo punto «non esistono chiare e univoche evidenze scientifiche che definiscano quel pericolo», ma per ulteriore cautela i carabinieri si stanno addestrando per usare lo strumento secondo un principio di «maggiore cautela possibile». L’arma ha due puntatori laser che permettono di mostrare esattamente i punti sui quali i dardi agganceranno l’«obiettivo»: l’addestramento prevede che, in caso di necessità e per quanto possibile, si cerchino sempre di colpire la schiena o le gambe.