Camorra & Divisa: Condannato poliziotto. Sedici anni per mafia e Rolex
Un verdetto che scuote la Polizia di Stato
Sedici anni di reclusione. È questa la pesante condanna inflitta dalla quarta sezione penale (collegio A) del tribunale di Napoli, presieduta dal giudice Paola Piccirillo, a un agente della Polizia di Stato accusato di aver venduto informazioni coperte da segreto a noti clan camorristici della zona orientale di Napoli.
Il verdetto, emesso nella giornata di oggi, rappresenta un punto fermo nell’inchiesta che ha coinvolto uno degli apparati più delicati dello Stato. Le accuse mosse al poliziotto sono gravi: concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione aggravata.
Le richieste della Procura e l’accusa firmata Woodcock
Il giudice ha accolto integralmente le richieste della Procura di Napoli, in particolare del pubblico ministero Henry John Woodcock, figura ben nota nel panorama giudiziario per le sue inchieste contro la criminalità organizzata.
Gli avvocati difensori avevano discusso poco prima la propria arringa, tentando di alleggerire il quadro accusatorio. Ma la sentenza è arrivata come un macigno.
Rolex, contanti e segreti di Stato: la “moneta” della camorra
Secondo le indagini, quando il poliziotto era in servizio presso il commissariato San Giovanni-Barra di Napoli, avrebbe passato informazioni riservate a diversi clan camorristici in cambio di denaro contante e orologi di lusso, tra cui Rolex.
I clan coinvolti – Mazzarella, Formicola e Cuccaro – sono storicamente radicati nell’area orientale del capoluogo campano. Le informazioni trafugate sarebbero state fondamentali per le attività criminali delle organizzazioni, rendendo ancora più inquietante il tradimento del ruolo istituzionale da parte dell’imputato.
Collaboratori di giustizia e intercettazioni: prove schiaccianti
Le accuse a carico del poliziotto si fondano in buona parte sulle dichiarazioni rese da diversi collaboratori di giustizia, che hanno raccontato come l’agente fosse una pedina strategica per la camorra, in grado di fornire indicazioni su indagini, pedinamenti e attività di polizia.
A rafforzare il quadro probatorio, anche intercettazioni ambientali e telefoniche, oltre a riscontri documentali raccolti dagli inquirenti. Un mosaico inquietante che ha inchiodato il poliziotto.
Un’aula senza imputato, una divisa macchiata
L’imputato che aveva sempre presenziato alle udienze del processo, oggi era assente in aula al momento della lettura della sentenza. Dopo un iniziale periodo agli arresti domiciliari, era stato rimesso in libertà a seguito dell’accoglimento di un ricorso.
La sua assenza fisica non ha però attenuato l’impatto morale di una vicenda che mette in discussione la fiducia dei cittadini nelle istituzioni. La divisa, simbolo di legalità, in questo caso è diventata strumento di corruzione.
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