Avvisò il figlio dei controlli dei colleghi: Carabiniere condannato dalla corte dei conti
Condannato anche dalla Corte dei Conti il carabiniere che avrebbe evitato l’arresto del figlio spacciatore. Dovrà quasi 5.600 euro all’Arma per danno erariale da disservizio, l’appuntato ormai in pensione che nel novembre 2014 è stato anche arrestato e ristretto agli arresti domiciliari per aver spifferato al figlio una serie di informazioni che gli avrebbero permesso di non incappare nei controlli, anche dell’auto civetta dei carabinieri, e soprattutto di ridimensionare rapidamente il giro di spaccio da un chilo di hashish e marijuana alla settimana. La vicenda è naturalmente anche al centro di un processo penale che, in primo grado e davanti al tribunale di Terni, è costata la condanna al militare, che ora è in attesa della pronuncia della Corte d’Appello di Perugia. I fatti risalgono al 2014 e si sono verificati tra Terni e due piccoli comuni del comprensorio, territorio in cui operava l’appuntato.
Carabiniere condannato La Corte dei Conti, in sentenza, giudica le contestazioni formulate dalla Procura «pienamente fondate, poiché, dal numero rilevante di inequivoche intercettazioni telefoniche e ambientali, è possibile evincere, con un grado prossimo alla certezza, che il carabiniere – è tutto scritto in sentenza – abbia costantemente fornito al figlio specifiche informazioni, estese perfino al tipo di veicolo utilizzato dagli inquirenti in borghese per i controlli, al fine di permettergli di eludere l’attività investigativa a suo carico». In questo quadro, la condotta del militare ormai in pensione, rimesso in libertà tre settimane dopo l’arresto, quando cioè è stato accertato che dalla rivelazione dei segreti di ufficio non aveva ricavato utilità personali, viene considerata «reiterata nel tempo e caratterizzata da un pervicace dolo».
«Ha permesso al figlio di sottrarsi all’arresto» E ciò è motivato dalla Corte della Conti sulla scorta di «moltissime intercettazioni effettuate, da cui emerge come l’appuntato fosse ben a conoscenza dell’attività del figlio e che, invece di redarguirlo, lo aiutava a eludere i controlli, spingendosi addirittura, personalmente, fuori dalla propria giurisdizione, anche con l’auto di servizio, per accertarsi che non vi fossero pericoli». Da qui la condanna per la «disfunzione al servizio pubblico arrecata dal militare a causa della sua attività illecita, che è stata ampiamente dimostrata, poiché dalle intercettazioni è risultato acclarato che egli ha arrecato nocumento e ostacolo all’attività dei suoi colleghi dell’Arma, consentendo al figlio di sottrarsi all’arresto, nonostante trafficasse stupefacenti dal 2011».