ARRESTATO POLIZIOTTO: FURTI, DROGA E COMPLICITÀ ILLECITE
(di Erika Pontini) – Un ingente traffico di droga sull’asse Perugia-Napoli, una banda che con la complicità delle guardie giurate rubava denaro che l’istituto di vigilanza privata doveva prelevare nelle grandi catene di supermercati e dai bancomat, soldi sporchi riciclati anche con la complicità di un commercialista perugino (riciclaggio finito in una maxi-truffa commessa da noti pregiudicati), ma soprattutto con il ruolo inquietante nel gruppo di un poliziotto «fiancheggiatore» in servizio alla Polizia stradale.
E’ il quadro a tinte fosche di una rete criminale in cui gli insospettabili si muovono insieme a noti pregiudicati, una piccola Gomorra locale con tanto di rapimenti-lampo, minacce, estorsioni, quella venuta alla luce con l’operazione della squadra mobile della questura che nelle ultime ore, dopo mesi di accertamenti, interrogatori e intercettazioni, ha eseguito otto misure cautelari emesse dal giudice Alberto Avenoso di cui cinque in carcere (compreso il poliziotto) e tre ai domiciliari.
Ma complessivamente gli indagati sono 11, tra cui quel Pablo Enrique Wagner Campos Maia, brasiliano di 26 anni residente a Perugia che, finito in un ‘gioco’ pericolosissimo, aveva prima tentato di essere arrestato presentandosi in questura con due panetti di hashish per sfuggire ai complici ‘gabbati’ che rivolevano indietro il denaro investito nelle operazioni sporche, poi aveva simulato un rapimento e infine si era consegnato alla polizia e davanti al pm Mario Formisano, in un interrogatorio teso, aveva svelato i retroscena di almeno cinque anni di illeciti, fornendo nomi e circostanze di una Perugia sconosciuta fatta di soldi guadagnati illecitamente per fare la bella vita.
E poi i viaggi a Napoli per trasportare chili di hashish (15 chili ad agosto 2016, 30 nel settembre successivo e 20 a ottobre dello stesso anno) con corrieri-donna pagate per il trasporto, i furti non tutti andati a buon fine dei soldi dai bancomat e dalle auto della stessa Vigilanza Umbra (un bottino da 82mila euro il 26 febbraio 2016) e i colpi ai danni di Lidl e Emisfero. Infine ricatti e minacce in seno al gruppo. Compresi rapimenti e pestaggi. Una vicenda di cui «La Nazione» aveva svelato i retroscena nel febbraio scorso, dopo che due testimoni, preoccupati per la sparizione dell’amico (Pablo) avevano spiegato ai cronisti i meccanismi illeciti di importazione di droga e non solo.
All’epoca Pablo era finito agli arresti poi tramutati in domiciliari e adesso, chiuse le fila dell’inchiesta con tanto di confessioni di alcuni degli indagati, le manette sono scattate tra gli altri anche per Stefano Moschini, 50 anni di Panicale, in servizio alla Stradale fino a ieri mattina quando i colleghi hanno bussato alla porta della sua abitazione con un mandato d’arresto e una sfilza di capi di imputazione che vanno dal furto alla rapina, dal falso commesso da pubblico ufficiale all’accesso abusivo alla banca dati interforze. Diceva ai colleghi di dover verificare circostanze di servizio e invece dava la caccia ai banditi che lo avevano truffato, insieme ai sodali, in un’operazione di riciclaggio di denaro. Settantamila euro puliti in cambio di 50mila sporchi, peccato che nella valigetta il denaro fosse in banconote da cento euro false.
Manette anche per Alessandro Minciotti, Orazio Bavastrelli, Francesco e Ciro Siciliano: per questi il giudice ha ritenuto che l’unica misura idonea fosse il carcere. Nell’ordinanza, cento pagine, il giudice Avenoso ricostruisce in termini netti l’intera vicenda: «In primo luogo – scrive – le specifiche modalità e circostanze delle condotte commesse, trattandosi di reati particolarmente gravi e di natura la più disparata (droga, contro il patrimonio, contro le persone) evidenziando una naturale e abituale inclinazione a delinquere a tutto campo e temporaneamente radicata e risalente».
Quanto a Moschini, stigmatizza sempre il gip, si è reso responsabile di «reati particolarmente gravi e vari, tali da disonorare la divisa che porta e la cui dinamica e reiterazione nel tempo dimostrano un’inquietante facilità a delinquere e soprattutto una radicata e risalente attività di fiancheggiamento di un vero e proprio gruppo di soggetti dediti al compimento di delitti».
Mancano all’appello i vigilantes che avrebbero favorito le attività della banda: «E’ certo che per la commissione dei due furti per cui si procedere gli esecutori si siano avvalsi di complici all’interno della Vigilanza». E’ proprio Pablo a raccontare: «Moschini mi confidò che avevano fatto un furto a Po’ Bandino e due furti al bancomat del Monte dei Paschi di Siena a Ferro di Cavallo». E uno degli indagati, davanti al pm, conferma: «Ammetto di aver partecipato a tale furto (…). Quel giorno eravamo io, Alessandro Minciotti e un tale (omissis) che so lavorare alla Vigilanza. Inoltre sul posto vi era anche Stefano Moschini». (Nazione.it)