APPUNTATO CONDANNATO, PARLA IL LEGALE «E ADESSO CHI DIFENDE I CITTADINI?»
Bisognerà aspettare fra 90 giorni le motivazioni del verdetto emesso lunedì dal gup Francesca Zagoreo, per concentrarsi sui motivi d’appello. Ma intanto l’avvocato Mario Scaloni, che con il figlio Alessandro ha difeso il militare della stazione di Ostra Vetere, offre riflessioni di logica e buon senso, che sembrano disegnare anche le tracce per argomentazioni giuridiche su cui fondare il ricorso. Ancora non si sa se nella sentenza di condanna può aver pesato una pronuncia della Cassazione in tema di eccesso colposo nell’uso di armi di servizio, secondo cui una volta cessata la situazione di pericolo non sarebbe legittimo esplodere colpi di pistola. «Ma il punto è proprio questo: il pericolo non era affatto cessato – obietta l’avvocato Mario Scaloni -. Ricordiamoci bene la situazione che si trovò a fronteggiare la pattuglia dei carabinieri quella sera. Stavano dando la caccia a una banda di ladri, che avevano commesso già tre colpi in abitazioni della zona. Vedono il Suv Mercedes segnalato, rubato e usato per altri furti, che poco prima era sfuggito al loro inseguimento, fermo al margine di una strada, con i fari spenti. Pensano che sia stato abbandonato e si avvicinano. Poi di colpo il Suv parte di scatto suonando il clacson, con un gran botto tuttora inspiegabile, e rischia di travolgere due carabinieri. La Mercedes sta scappando, è impensabile provare a inseguirla con l’auto di servizio, che è meno veloce. In quel momento si poteva benissimo pensare che a bordo ci fossero persone armate e che stessero scappando per commettere altri furti o reati più gravi, cosa poi avvenuta, dopo aver abbandonato il ferito. E non dimentichiamo che lì vicino c’era un parco giochi e una festa paesana con centinaia di persone in giro. Dovevano far scappare i ladri senza provare a fermarli? È un dovere assicurarli alla giustizia e impedire altri reati».
I carabinieri di Ostra Vetere la sera del primo febbraio 2015 provarono ad arrestare la fuga del Suv bianco con i banditi a bordo, scappati dopo un ultimo furto commesso a Pian Volpello di Castelleone di Suasa. Due militari spararono cinque volte mirando alle ruote. L’appuntato Basconi esplose con la sua pistola d’ordinanza quattro colpi, le cui traiettorie sono ricostruite dalla perizia disposta dal pm Mariangela Farneti: due centrarono le ruote della Mercedes, un altro proiettile prese la marmitta e schizzò via, il quarto disgraziatamente colpì l’asfalto e s’impennò centrando il lunotto posteriore e colpendo alla testa Korab Xheta, albanese di 24 anni, che morì in ospedale dopo quattro giorni di coma.
«La stessa perizia del consulente della procura riconosce che i colpi erano tutti diretti verso le ruote – ricorda l’avvocato Mario Scaloni -. Dunque secondo noi non vi sono dubbi sul fatto che il nostro assistito, come tutta la pattuglia, abbia tenuto una condotta da manuale. I carabinieri avevano anche le mitragliette, ma hanno scelto di usare solo le pistole, perché l’unico obiettivo era fermare l’auto in fuga forando le gomme. E ci sono numerose altre sentenze della Cassazione secondo cui, se l’agente o il carabiniere ha sparato agendo in maniera adeguata alla situazione, non gli possono essere addebitate conseguenze non volute».
A conclusioni diverse è invece arrivato il gup, condannando l’appuntato a un anno, pena sospesa. E il carabiniere rischia di dover risarcire i familiari dell’albanese, che si sono costituiti parti civile chiedendo 2,5 milioni di euro, anche se il giudice nella sentenza non ha accordato una provvisionale. «Mi chiedo solo cosa avrebbe dovuto fare la pattuglia se non sparare alle gomme – conclude l’avvocato Mario Scaloni -. Forse chiedere ai ladri la cortesia di fermarsi? Allora perché si fanno servizi armati di pattuglia? Magari li dotiamo di fischietto e così non corrono rischi di processo e tutti sono contenti. Un po’ meno i cittadini».