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AGLI AGENTI UN “CANNONE” MA NON LA PISTOLA

(di Vittorio Feltri) – Oggi raccontiamo una storia di ordinaria follia amministrativa ovvero
burocratica che farà rimanere a bocca aperta i lettori.

I quali sanno che i carabinieri e gli agenti di Pubblica sicurezza vanno
in giro armati di pistola d’ordinanza quando sono in servizio. Trattasi di Beretta
modello 98/FS calibro 9 parabellum, una vera e propria arma da guerra i cui
proiettili sono perforanti, per cui se entrano nel corpo umano, ne escono
proseguendo in una traiettoria incontrollabile da parte di chi ha premuto il
grilletto.
Tale pistola è assai ingombrante e pesante al punto da essere
inoccultabile. A causa di ciò, carabinieri e poliziotti, quando non impegnati
in attività professionali, per anni hanno usufruito della possibilità di
ottenere un porto d’armi che consentiva loro di acquistare e utilizzare una
rivoltella più piccola e maneggevole per difesa personale. Chi per mestiere fa
il tutore dell’ordine è addetto d’ufficio a indagini delicate (per esempio
sulla criminalità organizzata), e rischia di subire vendette, fino a rimetterci
in certi casi la pelle. Quindi è opportuno che non si faccia cogliere
impreparato in caso di aggressione. Come? Tenendo una pistola in tasca o nel
fodero.
È sempre stato così. Adesso non più. Non tutti i prefetti concedono il
porto d’armi ad agenti e a militari cosiddetti fedeli nei secoli. Perché? Il
ministero degli Interni ha riesumato una circolare degli anni Trenta in base
alle quale i citati servitori dello Stato, se fuori servizio, hanno sì facoltà
di circolare armati ma solo della pistola d’ordinanza, quella da guerra, e non
di una pistola più acconcia, di dimensioni ridotte. Qual è la ratio di questa
disposizione insensata? È un mistero che non esitiamo a definire idiota.
Infatti, non si comprende perché un militare sia autorizzato in ogni circostanza
a portarsi addosso una Beretta parabellum, ma non sia abilitato a impugnare
all’occorrenza un revolver meno ingombrante, non letale, in una parola più
difensivo che offensivo.
In questo diktat c’è qualcosa di schizofrenico e, quindi, di illogico. Io
posso andare in giro con un cannone anche se mi reco al cinema, però mi è
vietato avere in saccoccia una pistolina onde garantirmi un minimo di
protezione da eventuali malintenzionati. C’è poi un aspetto comico che non va
sottaciuto. Ancora a titolo esemplificativo: il prefetto di Bergamo boccia la
richiesta di porto d’armi inoltrata da un carabiniere, pur consapevole che
questi ha facoltà di tutelarsi con il suddetto «cannone» Beretta parabellum;
mentre il prefetto di Parma non ha difficoltà a concederglielo. Da quando in
qua ciò che vale a Parma non vale a Bergamo o a Messina o ad Aosta?
Se ne deduce che l’Italia ha federato soltanto la stupidità. In mancanza
di un ordine buono per tutti, è fatale che si incrementi il caos, si affermi
l’arbitrarietà come criterio di giudizio e trionfi la scemenza.
Da notare che il porto d’armi è stato revocato anche a coloro che lo
possedevano da vent’anni; così, all’improvviso, in ottemperanza a una
contraddittoria norma ripescata, dopo quasi un secolo, nei fondali delle leggine
vintage . Che ogni prefetto interpreta a piacimento. Non basta: il pluricitato
porto d’armi viene negato a carabinieri e poliziotti, ma accordato a tabaccai,
droghieri, vigilantes e farmacisti per il solo fatto che costoro gestirebbero
parecchio contante. Dal che si evince che per il nostro legislatore acefalo
vale maggiormente una mazzetta di banconote che non la vita di un agente.
Invochiamo un intervento del governo affinché rimedi a questa
imperdonabile sciocchezza, che è pari a quella che stabilisce la dotazione di
auto per le caserme provinciali dei carabinieri. Occorre precisare che le
stazioni dell’Arma, mediamente, hanno in garage due Fiat Punto, ottime per
portare la famiglia a Cesenatico, ma non per inseguire i banditi che si
dileguano su potenti Bmw. Servirebbe appellarsi al ministro Angelino Alfano, ma
questi ci udirebbe?

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