Accusati di lesioni dal ladro: un carabiniere condannato, l’altro rinviato a giudizio
Avevano arrestato un ladro. Ma sotto accusa sono finiti loro, due carabinieri di Monza. Uno, il militare che aveva scelto il rito abbreviato, è stato condannato. L’altro, che invece aveva deciso di essere giudicato con rito ordinario, lunedì è stato rinviato a giudizio. È quanto riporta il Giornale di Monza.
A puntare il dito contro di loro è un cittadino di origini tunisine di 34 anni che sostiene di essere stato percosso col manganello in fase di arresto. Un’accusa respinta da entrambi i militari che si sono sempre detti – e si dicono tuttora – innocenti.
Parla la moglie del militare rinviato a giudizio
Una decisione, quella del giudice del Tribunale di Monza, che ha lasciato senza parole tanto la famiglia quanto lo stesso legale del militare, l’avvocato del Foro di Pavia Marco Flore.
«Non ci capacitiamo del fatto che possa stare in piedi una tale accusa – ha affermato il legale – In primo luogo perché lo stesso medico del carcere (sentito in Aula lunedì mattina, ndr) ha smentito la versione secondo la quale l’arrestato sarebbe stato ricoverato per dieci giorni nell’infermeria del carcere. In secondo luogo perché, sempre il medico, ha sottolineato come le lesioni che la presunta vittima riportava non fossero riconducibili a colpi di manganello, ma bensì fossero invece compatibili con lo stile di vita di una persona senza fissa dimora, che dorme in giacigli di fortuna. Senza contare che, in questo modo, il giudice ha anche smentito quanto stabilito dal Tribunale del Riesame di Milano che aveva dato parere positivo per il reintegro in servizio del mio assistito ritenendo insufficienti le prove portate a suo carico».
Parole a cui fanno eco le dichiarazioni della moglie del militare, Aurora. «Non so davvero cosa pensare – ha tuonato la donna – Mio marito è innocente, sono rimasta sconvolta da questa decisione, soprattutto perché il medico del carcere ha smentito il fatto che le lesioni potessero essere state causate da un oggetto come un manganello. Mi sembra di vivere in un incubo. Sono pronta a tutto pur di dimostrare che è innocente». La prima udienza è prevista per novembre.
I fatti contestati risalgono all’ottobre del 2017 quando, in seguito a una rapina ai danni di un ragazzino di 13 anni (rapina che si era consumata in via Galvani, traversa di via Borgazzi), i due carabinieri si erano messi alla ricerca del responsabile. Il tunisino appunto, che i due uomini avevano trovato il giorno successivo, nell’area della Fossati-Lamperti, luogo in cui si era ricavato un giaciglio di fortuna.
Secondo quanto riferito dai due carabinieri, alla loro vista, il 34enne (che la sera stessa della rapina si era liberato della refurtiva rivendendola e comprandosi della droga) avrebbe afferrato una catena e un coltello, ferendo anche uno dei due operatori. Dopo essere riusciti a fatica ad ammanettarlo, lo avevano portato in caserma (dove era stato visitato da un operatore del 118, chiamato su richiesta dello stesso tunisino che aveva affermato di non sentirsi molto bene), quindi al Sanquirico.
Al pm, il tunisino aveva quindi raccontato la sua versione dei fatti. Versione secondo la quale, alla Fossati-Lamperti, sarebbe stato picchiato per mezz’ora col manganello. Il tutto, sempre secondo la versione del tunisino, sotto la minaccia della pistola, puntatagli contro da uno dei due militari. Fatti che i due carabinieri hanno sempre respinto con decisione, tanto che avevano presentato ricorso al tribunale del riesame di Milano che si era pronunciato per il loro reintegro.