Il mistero di Volpe 132, l’elicottero della Guardia di Finanza sparito nel nulla
(di Cleto Iafrate) – Oggi, 29 anni fa, l’elicottero della Guardia di Finanza Volpe 132 si inabissava in un mare di omertà dove perdevano la vita il maresciallo Gianfranco Deriu, 41 anni, e il brigadiere Fabrizio Sedda, 28 anni.
Papa Francesco:
– «Mentre il popolo soffre, incredibili quantità di denaro vengono spese per fornire le armi ai combattenti, e alcuni dei paesi fornitori di queste armi sono anche fra quelli che parlano di pace. Come si può credere a chi con la mano destra ti accarezza e con la sinistra ti colpisce?» (Fonte: Avvenire del 5 luglio 2016, Il Papa: «La pace in Siria è possibile».
– «Il traffico delle armi è terribile, è uno degli affari più forti in questo momento. L’anno scorso, a settembre, si diceva che la Siria aveva le armi chimiche; io credo che la Siria non fosse in grado di farsi le armi chimiche. Chi gliele ha vendute? Forse alcuni di quelli che poi l’accusavano di averle? Su questo affare delle armi c’è tanto mistero» (30 novembre 2014, sul volo di ritorno dalla Turchia).
SOMMARIO: 1. Introduzione – 2. Ipotesi investigative – 3. Intervista al Milite ignoto – 4. Ipotesi di riforme – 5. Conclusioni.
1. Introduzione
La sera del 2 marzo 1994 un elicottero della Guardia di Finanza, nome in codice Volpe 132, in volo di ricognizione costiera notturna per la repressione di traffici illeciti via mare, decollato dall’aeroporto militare di Elmas, si è inabissato nelle acque a largo di Capo Ferrato, a pochi chilometri dal poligono interforze di Salto di Quirra, portando con se i corpi, mai trovati, del maresciallo Gianfranco Deriu, 41 anni, e del brigadiere Fabrizio Sedda, 28 anni.
Un incidente, si pensò all’inizio. Ma nel 2011 la richiesta di archiviazione viene rigettata per gravissime mancanze investigative. Le accuse a questo punto diventano omicidio colposo plurimo e disastro aviatorio. Le analisi sui pochi pezzi dell’elicottero recuperati certificano la presenza di combustione ed esplosivo, compatibili con l’abbattimento in volo.
La tragedia è stata ribattezzata l’Ustica sarda. Diversi testimoni oculari, infatti, hanno riferito di aver sentito, al momento della scomparsa dell’elicottero, un grande boato, simile ad un’esplosione, e di aver visto precipitare in acqua una sorta di palla di fuoco. Ma i contorni della vicenda non sono stati mai chiariti ufficialmente.
Al momento del presunto abbattimento, Volpe 132 aveva appena sorvolato un mercantile, Il Lucina, che poi è scomparso nel nulla. Giovanni Utzeri, uno dei testimoni, afferma che l’elicottero era a pochi metri da lui quando è stato abbattuto.
2. Ipotesi investigative
Molti elementi concorrono a ipotizzare che il mercantile sia la vera chiave del mistero.
I testimoni riferiscono che la nave stazionava alla fonda da tre giorni e la sua linea di galleggiamento si abbassava notte dopo notte.
Inoltre, quello stesso mercantile fu successivamente coinvolto nella strage di Djen-Djen, avvenuta nel luglio dello stesso anno in Algeria, dove l’intero equipaggio fu sgozzato.
I sette uomini, tutti italiani, furono ritrovati imbavagliati, con mani e piedi legati, e la gola tagliata. Il tutto accadeva su una nave ormeggiata all’interno di un porto controllato in modo capillare dai militari.
Nella stiva del Lucina, insieme alle merci, vennero rinvenute 600 tonnellate di materiale “non dichiarato”, che secondo un articolo pubblicato dal quotidiano la Repubblica nel 1997 potrebbe riferirsi ad un carico di armi.
Rispetto a questa vicenda, colpisce l’intervista rilasciata da Antonino Arconte, il quale riferisce che “su quella nave, quel giorno del massacro, doveva esserci anche Tano Giacomina di Oristano, un agente dei servizi segreti, nome in codice G. 65, inserito nella divisione Gladio, Ma solo per un caso, dovuto a problemi di salute, Giacomina non si imbarcò” (dal minuto 50:00 del docufilm che trovi seguendo il link a piè di pagina).
Se veramente su quella nave era previsto si imbarcasse un agente della Gladio, molto probabilmente, oltre alla semola di grano doveva esserci altro. Ma Giacomina non ha potuto confermarlo, è morto in uno strano incidente nel 1998 a Capo Verde. Purtroppo, il suo corpo non è mai stato identificato.
L’amico e collega di Tano Giacomina, Antonino Arconte, nel corso dell’intervista ha raccontato: «Nel 1994 io ero un ex ufficiale dell’organizzazione Gladio. Noi eravamo il cosiddetto braccio armato dei servizi che non potevano compiere missioni armati all’estero. Eravamo stati addestrati per questo e la nostra copertura era quella di macchinisti, … Tano, per esempio, era Capitano, io ero di scorta, ed altri come noi eravamo di scorta ad un carico di enorme valore, si parlava di centinaia di miliardi di valore, che doveva arrivare sicuramente a destinazione.
Gli armatori non sapevano che quel traghetto in quel viaggio aveva trasportato un container che non conteneva pompe per l’agricoltura ma sistemi di puntamento missilistici della OTO Melara.
Tano mi ha contattato il mese di settembre del 1994 e mi ha detto: “Ma ti sembra possibile che io dovevo essere a bordo di questa nave –mi disse il Lucina- e non ci sono stato per una questione di problemi familiari miei, e poi vengo a sapere pochi giorni dopo che tutto l’equipaggio è stato sgozzato a Djen-Djen, dove dovevo esserci anch’io? Com’è possibile che siano stati i terroristi?” Perché anch’io conosco il porto di Djen-Djen. Là dove è successo il fatto è la parte militare del porto. Che ci fa una nave che carica grano nella parte militare di un porto mercantile? È circondata da reticolato. Ci sono le camionette che girano in continuazione. E l’Algeria non era un paese democratico. Non è che la gente poteva fare quello che voleva. Zona militare era zona militare davvero. Quindi era poco credibile questa cosa. Sicuramente lui non stava andando a portare grano in Algeria. Questo lo sapeva anche lui. Non c’era bisogno che me lo diceva».
Diciotto giorni dopo, esattamente il 20 marzo, una giornalista italiana Ilaria Alpi e il suo operatore MiranHrovatin cadono in un’imboscata in Somalia. Si parlò di un agguato per mettere a tacere due giornalisti divenuti troppo pericolosi. Pare avessero scoperto un traffico internazionale di veleni, prodotti radioattivi e rifiuti tossici nei Paesi industrializzati e immagazzinati nei Paesi poveri dell’Africa, traffici foraggiati da sostanziose tangenti e armi scambiate coi gruppi politici locali.
Pochi mesi prima, invece, Vincenzo Li Causi, un agente segreto italiano muore all’età di 41 anni in un agguato in Somalia durante una missione. Il giorno dopo Li Causi avrebbe dovuto far ritorno in Italia per comparire davanti al giudice Felice Casson in merito a Gladio, l’operazione Stay-behind e il traffico di armi e scorie nucleari in Somalia.
Le dinamiche dell’imboscata tesa da alcuni militanti somali ai danni della vettura su cui viaggiava con un commilitone (Giulivo Conti) non sono ancora del tutto chiare.
Li Causi fu insignito con la Medaglia d’oro al valore dell’esercito.
Alla luce di queste “coincidenze”, la scomparsa del Volpe 132 potrebbe essere uno dei tasselli di un mosaico che racchiude vari misteri italiani. Infatti, resta forte il sospetto che l’elicottero sia stato abbattuto perché testimone scomodo di un traffico illecito tra Africa e Italia.
Circa una settimana dopo la tragedia, in un hangar di Oristano viene denunciato il furto di un elicottero (gestito da una società fantasma con sede a Roma in uno stabile di proprietà del ministero dell’Interno) tale e quale a quello precipitato, che verrà ritrovato in seguito, in un deposito a Quartu Sant’Elena, quasi totalmente smontato e privo di molti pezzi.
Il giornale La Nuova Sardegna scrisse che “molti elementi concorrono a ipotizzare uno scenario nel quale l’elicottero di Deriu e Sedda si sia trovato nel mezzo di un traffico illecito coperto”.
Se così fosse, da qualche parte potrebbe esserci un Militare (ignoto) che conosce la verità e per qualche motivo non è disposto a raccontarla.
Di seguito, nel corso di una intervista “immaginaria” al Milite ignoto si cercherà di far luce sui suoi timori; cioè, di individuare gli scogli di ancoraggio dell’omertà, e di effettuare un tentativo di disancoraggio, per consentire alla verità di riprendere la sua rotta.
3. Intervista al Milite ignoto
Autore: «Carissimo Milite ignoto, all’interno di questa vischiosa vicenda, è plausibile che qualcuno sia stato costretto ad obbedire all’ordine di tacere? Oppure ad ordini che avrebbe dovuto disattendere?»
Milite ignoto: «Si, l’ordinamento militare è una specie di micro-Stato annidato in seno allo stato democratico. Noi militari da sempre siamo relegati in una condizione di totale subordinazione e vulnerabilità. L’ordinamento, infatti, attribuisce alla gerarchia ampi poteri sanzionatori. Sanzioni che incidono sulle valutazioni annuali e possono portare anche alla perdita del posto di lavoro. Inoltre, per noi militari il trasferimento ad altra sede è qualificato come “un ordine militare” e pertanto è caratterizzato dalla più ampia discrezionalità a fronte della quale l’amministrazione non assume alcun obbligo di motivazione.
Tali circostanze, sinergicamente combinate, rendono il principio dell’obbedienza leale e consapevole nulla più che un mito. Infatti, se un militare decidesse di disattendere un ordine, le conseguenze per lui potrebbero essere molto gravi.
Ritengo pertanto plausibile che il Milite ignoto, per tutelare il suo posto di lavoro e la serenità della sua famiglia, possa aver obbedito all’ordine di tacere oppure ad ordini che avrebbe dovuto disattendere e, dopo tutti questi anni, non se la senta di raccontarlo, probabilmente, perché teme addebiti penali.»
A: «Lo capisco. In fondo, non è colpa sua se l’ordinamento militare presenta vari profili di incostituzionalità. Sappia però il milite ignoto –e si regoli di conseguenza- che secondo la dottrina prevalente “fino a quando il subordinato non verrà posto nella condizione effettiva di dire ‘signornò’, deve essere esclusa la sua responsabilità penale in caso di esecuzione di ordine costituente reato. Se il militare è ridotto dall’ordinamento a mero strumento della macchina bellica che lo trasforma in docile esecutore di un’altrui volontà, alla quale egli è tenuto a piegarsi, non può essere ritenuto responsabile delle manovre compiute da chi di quella macchina ha il comando e il controllo”.
I timori del Milite ignoto, pertanto, non sono del tutto fondati. Un ipotetico magistrato non potrà non tener conto del fatto che la disciplina militare, così come è congegnata, è in grado di anestetizzare qualsiasi limite posto al dovere di obbedienza del militare; cioè, di narcotizzare il suo dovere di disobbedienza agli ordini manifestamente illeciti.
M.i.: «I rischi derivanti dal codice dell’ordinamento militare rappresentano solo uno degli scogli di ancoraggio dell’omertà. Forse il meno “resistente”. Il vero scoglio risiede nel codice penale.
Se l’incidente del Volpe fosse avvenuto all’interno di una cornice di traffico illecito coperto, chiunque raccontasse la verità violerebbe l’art. 262 del codice penale, che punisce con la reclusione da 3 a [24 anni] chiunque riveli od ottenga “notizie delle quali l’Autorità competente ha vietato la divulgazione” (c.d. notizie classificate come “riservate”). Infatti, il racconto dell’evento presupporrebbe l’esibizione (non autorizzata) o, comunque, la rivelazione dell’esistenza di documenti classificati, la cui diffusione recherebbe un danno agli interessi fondamentali della Repubblica».
A.: «Comprendo appieno le sue ragioni. Sappia, però, il Milite ignoto che l’art. 262 c.p., per la sua indeterminatezza, può essere qualificato come una norma penale in bianco, in quanto non rispetta il principio di tassatività della legge penale. La legge, infatti, non elenca le notizie di cui è vietata la divulgazione e rimane vaga sui criteri di individuazione della assunta “dannosità” delle notizie in caso di divulgazione. Nel senso che il legislatore ordinario non ha definito quali siano le “notizie riservate” tutelate nell’ambito dei delitti contro la personalità dello Stato, lasciandone la determinazione all’autorità politico-amministrativa competente. La disposizione, infatti, non indica i motivi per i quali la divulgazione delle notizie può essere vietata, rimettendoli alla totale discrezionalità dell’autorità decidente. Ma non finisce qui. Il vincolo di segretezza –cioè, la stampigliatura su cui si fonda “l’ordine di tacere”- in Italia può essere apposto addirittura anche da un “operatore economico”, su delega conferitagli dall’Autorità competente. Probabilmente siamo uno dei pochi Paesi che permette a un “operatore economico” di apporre un vincolo di riservatezza ascrivibile alla tutela di interessi pubblici, presidiato da una norma penale il cui limite massimo edittale è da omicidio volontario.
Notoriamente l’operatore economico non giura fedeltà ai valori della Costituzione, semmai sarà fedele agli interessi del mercato e del profitto. Egli si colloca al di fuori dell’ordinamento delle Forze armate, esclusivamente preposte alla difesa della Patria.
Vien da chiedersi: “E quando gli interessi della Repubblica non si conciliano con quelli dell’operatore economico? Quali interessi prevalgono?”
Intendo dire che in alcuni casi –e questo potrebbe essere uno di quelli- l’omertà imposta dalla stampigliatura, alla quale si sente legato il Milite ignoto, avvantaggia “l’impero militare privato”. Così lo ha definito l’onorevole Mauro Pili: “una dinastia nata e cresciuta tra armi e affari che in Sardegna ha fatto soldi a palate … un vortice di denaro generato come slot-machine”.
Anche questi timori del Milite ignoto, dunque, benché giuridicamente fondati, non costituiscono un solido scoglio di ancoraggio dell’omertà, poiché un ipotetico magistrato che abbia veramente a cuore i valori della Costituzione, nel giudicarlo, non potrà non tener conto del fatto che l’art. 262 del codice penale è stato scritto nel periodo fascista (la norma era funzionale alla missione di “condurre il Paese verso mete più fulgide di prestigio politico”) e che i Giudici delle leggi hanno da tempo auspicato che “il legislatore si faccia carico dell’esigenza di una revisione complessiva della materia del segreto” (Cort. Cost. 295/2002).
Ad ogni modo, quella del Milite ignoto è una decisione molto sofferta che non si prende a cuor leggero, ma con il cuore aperto alle sofferenze e al bisogno di verità delle famiglie dei poveri colleghi. Il Milite ignoto, dunque, dovrebbe chiedersi se sia giusto che dopo tutti questi anni il padre del brigadiere Sedda non sappia ancora se suo figlio è morto da eroe oppure per imperizia come si è tentato di insinuare. E che i figli del maresciallo Deriu non sappiano se l’elicottero sia stato abbattuto oppure sia precipitato a seguito un errore umano.
E se fosse successo a suo figlio? Cosa vorrebbe che facessero i suoi colleghi?
Si consideri che i due piloti il 26 maggio 1994 furono iscritti al registro delle notizie di reato per Perdita colposa di aeromobile (art. 106 c.p.m.p.). Le autorità militari tentarono anche di imporre il segreto di Stato sulle indagini della commissione militare interna. Il procuratore, però, non desistette perché la segretazione era avvenuta in modo anomalo, così anomalo che ne ottenne immediatamente la revoca. Dalla relazione della commissione militare emerge che la morte dei due sottufficiali della Guardia di finanza sarebbe stato un incidente, probabilmente dovuto ad un errore del brigadiere Sedda.
4. Conclusioni
La scomparsa del Volpe 132 ha ispirato un docufilm di cui si consiglia vivamente la visione, dal titolo Il grano e la Volpe, realizzato da una equipe composta dal giornalista Vincenzo Guerrizio, dal regista Raffaele Manco, dal produttore Francesco Deplano e dalla fotografa Raquel Garcia Alvarez. Si tratta di un prezioso contributo alla verità che meglio di qualsiasi scritto rende l’idea di quello che potrebbe essere accaduto quella sera.
Si auspica che possa scuotere la coscienza del Milite ignoto e indurlo a fare la cosa giusta.
PER GUARDARE IL DOCUFILM CLICCA QUI: IL GRANO E LA VOLPE
Mi piace concludere con un pensiero di speranza e una canzone, scritta da un cantautore sardo Piero Marras, che dedico a tutti gli abitanti del Piccolo Continente.
Si bois cheries e sos carabineris lu permittini, possono tornare a crescere gli alberi e a volare i fenicotteri anche in quelle zone martoriate dai giochi di guerra.
C’è un’isola possibile. E perché questo accada bisogna fare l’impossibile.
Con una disoccupazione giovanile che ha superato il 50%, le truppe italiche sono state un antidoto al malessere?
Eppure l’affitto del poligono di Quirra rende 50 mila euro all’ora!
Ma quanti ne restano sull’isola, al netto di polveri e veleni?
Per ascoltare la canzone clicca qui: SI DEUS CHERET (E SOS CARABINERIS LU PERMITTINI)
Post scriptum
“Se l’omertà del Milite ignoto, per le ragioni sopra esposte, può essere non dico giustificata ma almeno compresa, in quanto ancorata a norme scritte in epoca fascista e mai emendate; l’omertà del Sardo ignoto, cioè di eventuali residenti che quella sera hanno visto e deciso di tacere, sarebbe grave e imperdonabile. Soprattutto alla luce della possibile risposta da fornire all’ultimo quesito proposto dal cantante sardo”.
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