Forze di Polizia

COMPARTO SICUREZZA:PAGANO SEMPRE I PIU’ DEBOLI

I conti pubblici devono essere risanati ed il Paese ha un estremo bisogno di una Pubblica Amministrazione efficiente, trasparente e funzionale. Mercati, Europa non ammettono più rinvii, almeno sotto il profilo dei conti.

Tanto per essere chiari, il pubblico impiego è, da tempo, gestito da una sorta di irresponsabile “cogestione” che ha garantito vantaggi ai soggetti interni (politica, dirigenza e sindacato) ed ha portato ad una Pubblica Amministrazione generalmente inefficiente ed autoreferenziale, a fronte di una spesa fuori dalla realtà economica.

Già negli anni novanta si cercò di porre rimedio ai mali atavici del pubblico impiego, con la c.d. “privatizzazione”. Dopo quasi vent’anni si può però affermare che quella riforma non ha prodotto apprezzabili risultati in termini di trasparenza e produttività, mentre ha determinato, soprattutto attraverso l’uso distorto e debordante della contrattazione integrativa, un incremento delle retribuzioni di gran lunga superiore ai salari privati, all’inflazione ed al PIL(1).

Tuttavia, anche nei settori rimasti esclusi dalla privatizzazione, le cose non sono andate meglio. Nel comparto sicurezza e difesa, per esempio, sono stati adottati provvedimenti figli di rivendicazioni e compromessi(2), finalizzati più ad “accontentare” i soggetti interni che a rispondere ai reali interessi generali (promozioni regalate, avanzamenti di carriera e stipendiali legati alla sola anzianità di servizio, riforme strutturali pensate più il personale che per le reali esigenze operative, riduzione dell’orario settimanale, ecc., ecc.). E se le cose sono andate un pochino meglio dal punto di vista dell’efficienza(3), lo si è dovuto, in larga parte, al limitato “potere contrattuale” del personale, che spesso si è “spinto” oltre il dovuto (straordinari non pagati, utilizzo di mezzi privati, vitto non pagato, anticipo in proprio delle spese di missione, licenze e recuperi non fruiti, ecc., ecc..).

Da qualche anno, però, la musica è cambiata. La crisi, le istituzioni internazionali ed i mercati hanno “costretto” a mettere mano al “tabù” del pubblico impiego, ma la nostra politica lo ha fatto nel peggiore dei modi. Si è pensato solo a fare cassa ed in nome di un generalizzato principio di equità si è tagliato tutto, senza distinguere tra virtuosi ed irresponsabili, tra necessario e superfluo, tra utile e spreco, tra produttivi e lavativi.
Prima sono arrivati i tagli lineari delle spese di funzionamento/investimento ed il blocco del turn-over, ovvero si è cercato di fare risparmi senza “urtare” troppo gli attori interni, facendo pagare i cittadini (in termini di meno servizi), i precari ed i giovani (in termini di meno opportunità di lavoro).
Poi la crisi si è fatta più grave e mentre tutte le Amministrazioni (ad esclusione del settore Difesa) traccheggiavano in attesa di tempi migliori, sono arrivati il congelamento degli stipendi e l’ennesima riforma previdenziale con la sostanziale omologazione tra lavoratori pubblici e privati.
Il congelamento stipendiale non è un semplice provvedimento di razionalizzazione della spesa pubblica, ma costituisce una vera e propria “lezione” nei confronti del pubblico impiego (ed in particolare dei sindacati) e contiene un messaggio molto chiaro: “non ci sono, e forse non ci saranno mai più, le risorse che prima irresponsabilmente si spendevano per il pubblico impiego. Servono riforme strutturali che permettano di ricavare risparmi stabili e recuperare efficienza e sino a quando non verranno adottate, pagate di tasca vostra. Ed anche se fate ricorso e ottenete giustizia, comunque, pagherete di tasca vostra(4).”
Non a caso, nel mirino dei tecnici del Ministero dell’economia sono finiti proprio quegli istituti che hanno determinato l’incremento incontrollato ed abnorme dei salari pubblici: contrattazione integrativa per il pubblico impiego privatizzato e progressioni automatiche di carriera e di stipendio per il pubblico impiego in regime di diritto pubblico.
In sostanza, il pubblico impiego si trova a pagare, tutto in una volta, il conto di anni ed anni di gestione irresponsabile, fuori dalla realtà economica, e di mancate riforme, ma, come sempre accade in periodi di crisi, a pagare il prezzo più salato sono le categorie di personale più deboli e con meno “potere contrattuale”, come il personale del comparto sicurezza e difesa ed, in particolare, quello militare.
Per quanto riguarda il personale in regime di diritto pubblico (quasi tutti dirigenti tranne la maggioranza del comparto sicurezza e difesa), la giustizia ha, infatti, già cassato il contributo di solidarietà per i redditi più alti ed escluso i magistrati dal congelamento(5), ed ora si accinge ad escludere dal blocco anche altre potenti categorie di personale(6) e, con tutta probabilità, escluderà dal blocco le promozioni(7). Mentre, per gli automatismi stipendiali del personale non dirigente del comparto sicurezza e difesa (assegni di funzione e omogeneizzazioni)(8) la soluzione giurisdizionale non sembra essere così efficacie(9).
Nel frattempo il personale del pubblico impiego privatizzato, attraverso la contrattazione integrativa, ha già acquisito e consolidato un piccolo “tesoretto(10) ed oggi, sempre attraverso la contrattazione integrativa, può spostare le risorse da voci bloccate a voci libere dal blocco(11).
Al contrario, il personale del comparto sicurezza e difesa si è visto azzerare i fondi del riordino delle carriere sino al 2013 e non ha potuto acquisire e consolidare i benefici degli automatismi stipendiali(12). In altri termini, il personale del comparto ha dovuto restituire allo Stato quasi tutto il “tesoretto” accantonato ma non distribuito nel periodo 1997-2009(13), mentre i “colleghi” privatizzati, attraverso la contrattazione integrativa, hanno interamente portato a casa tutti i benefici della “stagione felice” 1997-2009.
Senza contare che la specificità e la rigidità(14) delle norme che regolano il comparto non consentono di ricevere una quota parte dei risparmi che lo Stato ottiene dalle vacanze organiche, dai processi di razionalizzazione o di finanziare il F.E.S.I. con leggi speciali, come avviene, sempre attraverso la contrattazione integrativa, nel resto del pubblico impiego.
Per finire, il limitato potere sindacale del personale (in particolare quello militare) consente alle amministrazioni di rispondere ai tagli lineari attraverso l’utilizzo del personale interno in servizi da tempo esternalizzati (pulizie, mense, bar, facchinaggio, giardinaggio etc.).
Questa è la situazione in cui versa oggi il comparto sicurezza, ma sembra che in pochi ne abbiano preso coscienza. Eppure Ragioneria Generale dello Stato e Corte dei Conti non perdono occasione per ribadire che le manovre economiche straordinarie hanno solo rinviato e non risolto il problema relativo al costo del pubblico impiego e che sarà difficile trovare le risorse per far ripartire la dinamica salariale con le regole vigenti(15).
In questo contesto, continuare a fare la “voce grossa” avanzando impopolari ed insostenibili richieste (l’esclusione in toto della riforma previdenziale, un nuovo riordino delle carriere, l’avvio della previdenza complementare, ecc., ecc.) rischia di essere un esercizio che serve solo a dimostrare di essere “vivi” ai propri rappresentati.
Blandire la specificità solo come pretesto per ottenere trattamenti differenziati o di vantaggio, infatti, ha causato al personale del comparto grandi penalizzazioni a fronte di pochissimi riconoscimenti: quattro spiccioli(16), una promessa di riordino ed un impegno a fare una corretta armonizzazione previdenziale, mentre ha finito per fare il gioco di chi (politica e dirigenza) non vuole vere ed efficaci riforme strutturali (perché teme di perdere potere e benefit) ed ha sempre strumentalmente ribaltato la responsabilità sui sindacati.
Non a caso, oggi quasi più nessuno (tranne gli interessati) pensa che sia opportuno sindacalizzare i militari e la riforma “Brunetta” del pubblico impiego privatizzato ha punito il sindacato, mandando assolta la dirigenza e rafforzando la politica.
Il comparto sicurezza ha bisogno di serie e profonde riforme (razionalizzazioni delle strutture, delle relazioni sindacali e dei modelli di governance, revisione degli organici, superamento della rigidità del comparto, revisione delle carriere e della struttura retributiva, ecc.) ed è questo che sindacati e rappresentanze dovrebbero chiedere, se vogliono recuperare risorse sostanziali da destinare al personale, smascherare chi vuole conservare lo status quo ed evitare la propria delegittimazione.
Con l’attuale stato dei conti pubblici, infatti, senza riforme strutturali (che andavano fatte nel periodo felice 1997-2008 così come hanno fatto in Germania) si va “dritti dritti” verso la proroga dei tagli e dei blocchi stipendiali e si continuerà con quel film iniziato qualche anno fa: la politica non impone le riforme, le amministrazioni resistono, la crisi continua, il Ministero dell’economia taglia ed il personale paga.
Gianluca Taccalozzi, Arcangelo Caso, Ignazio Martiradonna
Delegati Co.Ce.R. – Guardia di Finanza.
(1) Come evidenziano tutti i documenti sul costo del lavoro pubblico della Corte dei Conti, dell’A.R.A.N. e della Ragioneria Generale dello Stato.
(2) Un esempio è il principio di equi-ordinazione delle carriere e di sostanziale omogeneizzazione dei trattamenti economici che fu stabilito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 277/1991 tra Carabinieri, Guardia di Finanza e Polizie ad ordinamento civile per via dell’omogeneità delle funzioni espletate e fu poi esteso per scelta politica anche alle Forze Armate con la Legge n. 216/1992. Questa soluzione ha poi finito, di fatto, per ingessare ogni tipo di riforma organica del comparto a causa dei veti incrociati opposti da questa o quella amministrazione o tra questa o quella rappresentanza.
(3) Le Forze di polizia e le Forze Armate sono ai primi posti delle statistiche relative al grado di affidabilità delle istituzioni pubbliche percepito dai cittadini.
(4) Così come prevede la clausola di salvaguardia di cui all’art. 2 del d.l. n. 78/2010 già applicata al bilancio della Giustizia a seguito della sentenza n. 223/2012 della C.C..
(5) Sentenza della Corte Costituzionale n. 223/2012.
(6) La questione sarà affrontata dalla Suprema Corte il prossimo 5 Novembre.
(7) Art. 9 comma 21 terzo periodo del d.l. n. 78/2010. Le promozioni hanno un controvalore molto relativamente alto per i dirigenti e relativamente esiguo per il resto del personale.
(8) Congelati dal comma 1 dell’art. 9 del d.l. n. 78/2010.
(9) In tal senso sembra emblematica l’ordinanza n. 7532/2013 del TAR Lazio che ha fronte di un ricorso relativo all’assegno di omogeneizzazione ha sollevato il dubbio di costituzionalità solo con riferimento alle promozioni.
(10) Come evidenziato in tutti i documenti sul costo del lavoro pubblico della Corte dei Conti, dell’A.R.A.N. e della Ragioneria Generale dello Stato ed in particolare la relazione della Corte dei Conti 2009 che identificano nel c.d. slittamento salariale e quindi nella contrattazione integrativa la principale causa dell’incremento ingiustificato delle retribuzioni del pubblico impiego.
(11) Operazione possibile attraverso la contrattazione integrativa, tanto che le risorse dedicate per gli anni 2011 alle progressioni economiche sono drasticamente diminuite rispetto al 2010, quando, in vista del blocco, avevano subito un cospicuo aumento – fonte relazione della Corte dei Conti sul costo del lavoro pubblico – 2013.
(12) Per via del fatto che il blocco agisce in maniera secca e gli assegni automatici (omogeneizzazione ed assegni di funzione) hanno un importo più rilevante ed un tempo di maturazione più lungo rispetto ai due anni delle progressioni del pubblico impiego privatizzato.
(13) Si spiegano in buona parte così i maggiori risparmi ottenuti dal congelamento stipendiale rispetto a quanto preventivato nelle relazioni tecniche di accompagnamento al d.l. n. 78/2010 ed alla sua proroga ed al DEF 2012 evidenziati nella relazione 2013 della Corte dei Conti sul costo del lavoro pubblico.
(14) Il rigido principio di sostanziale omogeneizzazione del trattamento economico non consente, di fatto, che un’amministrazione piuttosto che un’altra ottengano risorse maggiori rispetto alle altre.
(15) Corte dei Conti – Relazione 2013 sul costo del lavoro pubblico e Ragioneria Generale dello Stato – Rapporto sulla spesa delle amministrazioni dello Stato 2012 – II Parte.
(16) 160 milioni di euro per il biennio 2011-2012 e la speciale detrazione IRPEF per i redditi inferiori a 35.000 euro che vale 100 milioni di euro l’anno.

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