Giustizia

Capitano della Guardia di Finanza condannato per stalking: “Presto dovrai mandare il tuo curriculum al McDonald’s”


Le minacce e la condanna

Presto dovrai mandare il tuo curriculum al McDonald’s”. È una delle frasi con cui un capitano della Guardia di Finanza di 43 anni ha minacciato una marescialla capo di 39 anni, in servizio presso la Direzione investigativa antimafia (DIA). La donna, sua sottoposta, aveva interrotto la relazione sentimentale nata pochi mesi prima.

Da lì, secondo l’accusa, è iniziato un crescendo di messaggi minatori e intimidazioni, culminati con frasi come: “Ora ti sgozzo (…) e non vengo neanche al tuo funerale”. Parole che non hanno lasciato dubbi al giudice monocratico del Tribunale di Roma, che ha condannato l’uomo a un anno e sei mesi di reclusione per stalking, riconoscendogli anche l’aggravante di abuso dei poteri legata al suo ruolo di superiore gerarchico.


Dal flirt all’incubo

Tutto comincia nel dicembre 2020, quando i due si conoscono e intrecciano un rapporto che, nel giro di poche settimane, si trasforma in una relazione. Tra loro c’è attrazione, confidenza, frequentazioni anche fuori dal servizio. Ma, come ha ricostruito la pubblico ministero Eleonora Fini, il capitano omette un dettaglio fondamentale: è sposato.

Quando la donna lo scopre, tronca immediatamente la relazione. Da quel momento, secondo la ricostruzione della Procura, lui “perde la testa”. I messaggi diventano sempre più violenti: “Sai che non mi fermo, dovrai chiedere aiuto… sei sotto osservazione, non sbagliare”, “Ti auguro tutti i mali, pagherai con il destino”.

Parole che la vittima interpreta come una minaccia concreta. Il suo ex superiore, però, non si ferma. “Mi hai rovinato la vita, muori”, le scrive in un altro messaggio. A quel punto, la denuncia è inevitabile.


Il divieto di avvicinamento e il ritiro dell’arma

Dopo la denuncia, il giudice per le indagini preliminari dispone per il capitano il divieto di avvicinamento alla donna e il ritiro dell’arma di servizio. Misure cautelari ritenute necessarie alla luce della gravità delle minacce e del contesto professionale in cui erano maturate — un ambiente dove il rapporto gerarchico avrebbe potuto aggravare ulteriormente la situazione di pressione psicologica.

Nonostante ciò, la difesa dell’imputato ha sostenuto che la donna non avesse realmente paura, citando episodi successivi alle minacce in cui i due avrebbero partecipato insieme a cene di gruppo o spostamenti in auto. Argomentazioni che, tuttavia, non hanno convinto il giudice.


Il verdetto: abuso di potere e persecuzione

Il tribunale di Roma ha stabilito che le minacce, i messaggi e gli atteggiamenti persecutori hanno costituito una vera e propria campagna di terrore, aggravata dal ruolo dell’uomo come ufficiale superiore.

La condanna a un anno e sei mesi per stalking arriva dunque al termine di un processo che ha ribaltato la richiesta della pubblica accusa, la quale aveva chiesto l’assoluzione. Il giudice, invece, ha riconosciuto la piena responsabilità del capitano, sottolineando come il suo comportamento abbia travalicato ogni limite, trasformando un rifiuto sentimentale in un incubo professionale e personale per la sottoposta.


Un caso che scuote le forze dell’ordine

L’abuso di un rapporto gerarchico, unito alla componente emotiva, può trasformarsi in una forma subdola di violenza e controllo, difficilmente denunciabile e ancora più difficile da affrontare.

La condanna rappresenta un segnale forte: nessuna uniforme, grado o posizione può giustificare minacce, persecuzioni o abusi.
Un messaggio chiaro, che va oltre il caso giudiziario e tocca il cuore stesso dell’etica militare e civile.

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