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Caso Almasri: il buco nero delle riunioni segrete e lo scontro frontale tra “L’Unità” e i Carabinieri

Dai corridoi del potere alle mani dell’Arma

C’è un fascicolo scottante che gira nelle stanze della giustizia romana. Quello su Osama Almasri, generale libico fermato a Torino e fuggito a Tripoli sotto una coltre di mezze verità e silenzi istituzionali.
A raccontarlo ieri è L’Unità, con un’inchiesta firmata Paolo Comi dal titolo che è già una provocazione: “La rivincita dei Carabinieri esclusi dal caso Almasri”.

Paolo Comi racconta come i Carabinieri siano diventati protagonisti di una vicenda giudiziaria e politica ad alta tensione, nonostante inizialmente fossero stati estromessi dai tavoli decisionali sulla sorte del generale libico Osama Almasri.

Secondo quanto ricostruito dal giornalista, il Tribunale dei ministri di Roma – composto dalle giudici Maria Teresa Cialoni, Donatella Casari e Valeria Cerulli – ha deciso di affidare il fascicolo ai Carabinieri del Nucleo Investigativo del Reparto Operativo di Roma, comandato dal colonnello Dario Ferrara. Non alla Sezione di polizia giudiziaria della Procura, né alla Polizia di Stato, poiché tra i coinvolti figura Vittorio Pisani, capo del Dipartimento della pubblica sicurezza.

Tre riunioni chiave senza traccia scritta

Le indagini, definite “quanto mai complesse”, hanno accertato che per decidere il destino di Almasri si tennero tre riunioni: la prima il 19 gennaio, poche ore dopo il fermo a Torino, e le successive il 20 e 21 gennaio.

Nessun verbale. Nessuna registrazione. Neppure la certezza se fossero in presenza o da remoto. Per ricostruire quei momenti, la magistratura ha dovuto affidarsi a testimonianze giudicate “reticenti e contraddittorie”.

Il ruolo di Caravelli e le pressioni da Tripoli

Comi attribuisce un ruolo centrale al direttore dell’Aise, generale Giovanni Caravelli, promosso prefetto dal governo Meloni nel 2024.
Caravelli riferì che, attraverso i suoi canali a Tripoli e contatti istituzionali – compresa la Rada Force, di cui Almasri faceva parte – in Libia stava crescendo una forte agitazione per l’arresto del generale.

Tali informazioni furono comunicate ad Alfredo Mantovano, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega ai Servizi, durante una maxi riunione del 19 gennaio con i ministri dell’Interno e degli Esteri, i rispettivi capi di gabinetto, il capo della Polizia, il direttore generale del Dis, il prefetto Vittorio Rizzi e Giusi Bartolozzi, capo di gabinetto del ministro della Giustizia Carlo Nordio.

Alle successive riunioni del 20 e 21 gennaio parteciparono le stesse figure.

Assenti illustri e legami con la Rada Force

Sorprendentemente, non erano presenti Luigi Birritteri, capo del Dipartimento dell’amministrazione della giustizia di via Arenula – autore del provvedimento da sottoporre a Nordio per trattenere Almasri – né il generale Salvatore Luongo, comandante generale dell’Arma.

Comi sottolinea che i Carabinieri da anni curano la formazione delle milizie libiche, oltre a garantire la sicurezza dell’ambasciatore italiano e del personale a Tripoli.

La Rada Force, sotto il controllo del Procuratore generale libico, opera nei quartieri strategici della capitale e gestisce il carcere speciale vicino all’aeroporto di Mitiga. Caravelli ha dichiarato che l’Aise ha collaborato con la Rada nella lotta a traffici di esseri umani, carburanti, stupefacenti e terrorismo, oltre che nella cattura di un latitante.
Alla domanda su possibili minacce dirette a cittadini italiani, Caravelli rispose di non averne ricevute, pur parlando di “molta agitazione”.

Le ragioni della mancata estradizione

Caravelli spiegò che l’ipotesi di rimpatriare i cittadini italiani dalla Libia era stata scartata per i tempi lunghi e per il rischio di ostacoli da parte della Rada, che controllava l’aeroporto. Un’eventuale operazione, disse, non avrebbe comunque protetto “gli interessi stanziali” in Libia.

Quanto alla richiesta libica di estradizione, Caravelli affermò di averne discusso con Mantovano e con l’Ambasciata libica, che confermò l’inoltro della domanda al Ministero degli Esteri. Secondo Comi, queste valutazioni furono determinanti per decidere di non fermare Almasri.


La replica dell’Arma: “Mai agito per vendetta”

Il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri – V Reparto SM, Ufficio Stampa ha reagito con una nota ufficiale alle affermazioni di L’Unità.
Il comunicato, datato 8 agosto 2025, definisce il contenuto dell’articolo di Comi “privo di fondamento” e “gravemente lesivo della dignità e dell’onorabilità dell’Arma dei Carabinieri”.

“Nei suoi oltre due secoli di storia – si legge – l’Arma non ha mai agito per ‘vendetta’ o per ottenere una ‘rivincita’, espressioni totalmente estranee alla cultura istituzionale, ai valori e al modo di operare dei Carabinieri”.

La nota precisa che nel caso Almasri il Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Roma si è limitato a svolgere, “con la consueta professionalità e scrupolosità”, attività di acquisizione documentale delegate dall’Autorità giudiziaria, nel pieno rispetto delle proprie competenze e dei rapporti funzionali con la magistratura.

Il comunicato si chiude con un avvertimento:

“L’Arma dei Carabinieri continuerà a tutelare la propria immagine e il proprio operato da ricostruzioni giornalistiche infondate che possano minare la fiducia dei cittadini e delle istituzioni.”

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