“Un futuro senza guardie”: il grido d’allarme che lo Stato non ascolta
Numeri che smentiscono la favola
I dati non arrivano da un think tank o da un sondaggio di opinione: sono quelli ufficiali dei concorsi per Polizia di Stato e Carabinieri.
«I dati non mentono, e quelli che emergono dai recenti concorsi per Polizia di Stato e Carabinieri sono un sonoro schiaffo in faccia a chi racconta favole», denuncia Luca Spagnolo, rappresentante legale del MOSAC – Movimento Sindacale Autonomo Carabinieri.
Per 4.617 posti in Polizia, gli aspiranti sono tra i 17.000 e i 20.000; per 4.918 posizioni nei Carabinieri, le domande oscillano tra i 12.000 e i 15.000.
Traduzione giornalistica: lo Stato mette sul piatto un posto sicuro e uno stipendio garantito, eppure i giovani non ci si buttano più a capofitto.
La morte del mito
Spagnolo va dritto al punto: «Ci raccontano che i giovani non vogliono più faticare e che cercano la scorciatoia. La verità, come al solito, è più semplice e scomoda. Il “posto fisso” statale, un tempo sogno di ogni famiglia, non è più competitivo».
E i motivi sono sotto gli occhi di tutti: «In un mondo dove la paga iniziale in divisa non basta per vivere in una grande città, e dove il settore privato – soprattutto quello tecnologico e digitale – offre salari più alti e prospettive globali, la scelta è ovvia. Chi ha maggiore ambizione preferisce inseguire un’opportunità, anche all’estero, piuttosto che una carriera rigida e mal pagata».
Tradotto: oggi il “posto fisso” non vale più il sacrificio.
Crisi di fiducia
«Non è solo una questione di soldi. È una questione di fiducia», continua Spagnolo. I giovani di oggi «vedono agenti e carabinieri in televisione, a volte nel ruolo di aguzzini, altre nel mirino delle polemiche e della magistratura con il classico “atto dovuto” giudiziario».
La percezione è quella di «uno Stato che sembra più interessato a limitare le libertà che a difenderle». Il risultato? «Il valore del “servire la patria”, di cui si riempiono la bocca i boomer e i patrioti dell’ultima ora, è svanito».
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Scuole di formazione: un tuffo nel passato
L’analisi del MOSAC affonda anche sulla formazione: «I giovani che affrontano la formazione nelle scuole delle forze dell’ordine hanno la sensazione di essere sul set del sequel di Ritorno al futuro».
Perché? «Si ritrovano a fare un balzo temporale nel passato, dove la formazione professionale è secondaria al tentativo di inculcare nella generazione dei nativi digitali tradizioni militari ottocentesche». Un approccio che «non può che diventare un ostacolo, a volte anche insormontabile, anziché un ponte con la società contemporanea».
Quando cala la quantità, cala anche la qualità
Il comunicato non risparmia un avvertimento pesante: «Nei concorsi delle FFOO, il calo del numero dei candidati abbasserà drasticamente il punteggio di sbarramento delle prove preliminari, con un conseguente decremento del livello culturale di base della categoria dei lavoratori della sicurezza, pregiudicando potenzialmente la qualità della funzione pubblica del comparto».
E il confronto con altre realtà pubbliche, come Ferrovie dello Stato, è impietoso: queste selezionano i migliori neodiplomati con corsie preferenziali per chi ottiene il massimo dei voti.
Social sì, ma non basta
Sul tentativo di “svecchiare” l’immagine, Spagnolo è tranchant: «Le forze dell’ordine hanno provato a svecchiare la loro immagine usando i social media – ma non basta. I follower non riempiono le caserme».
E conclude con un avvertimento che suona come una profezia: «Ci vuole un’autentica rivoluzione, un ripensamento del ruolo dello Stato e della qualità di chi lo rappresenta. Altrimenti, l’Italia si ritroverà presto senza “guardie”, con la porta aperta e i ladri in casa, a chiederci perché nessuno ha voluto difenderla».
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