Carabinieri

TRE MILITARI ACCUSATI DI UN ATTENTATO

(di Ubaldo Cordellini) – Ci sono voluti più di quattro anni, ma alla fine i carabinieri di Vezzano sono riusciti a individuare i presunti autori di un inquietante attentato incendiario ai danni di un uomo di Terlago, Matteo Defant. Nella notte tra il 12 e il 13 settembre 2010 l’Audi A4 station wagon di Defant venne incendiata nel parcheggio sotto casa sua, in piazza Torchio.
Per  molto tempo le indagini sono rimaste al palo. Poi, i carabinieri hanno imboccato una pista interessante e sono riusciti ad arrivare al presunto mandante e ai due presunti esecutori materiali. Si tratta di tre militari. Il mandante sarebbe un maresciallo dell’esercito in servizio a Trento e vicino di casa del proprietario della vettura, Vincenzo Palumbo, 51 anni, mentre i due esecutori sarebbero Paolo Rubino, 32 anni di Trentola Ducenta e Pompeo Laudadio, 31 anni di Capua, entrambi militari che hanno prestato servizio a Trento e che ora vivono al sud. Per tutti e tre il pubblico ministero Alessia Silvi ha chiesto il rinvio a giudizio per incendio doloso. Le indagini hanno portato alla luce una vicenda che, a prima vista, sembra incredibile.
Ovviamente, quelle dell’accusa sono ipotesi tutte da provare.
L’udienza preliminare si terrà in aprile davanti al giudice Francesco Forlenza. Secondo quanto ipotizzato dall’accusa alla base dell’attentato incendiario vi sarebbero banali screzi. Si tratterebbe di episodi di scarsa importanza. Un rapporto di vicinato non certo idilliaco che, però, sarebbe sfociato in qualcosa di molto grave, almeno per queste latitudini. Non accade tutti i giorni che normali discussioni per il posteggio della macchina o per la legna accatastata più o meno bene possano portare a incendiare l’auto del rivale. Secondo l’accusa, il maresciallo Palumbo avrebbe avuto un cattivo rapporto con Defant e proprio per questo avrebbe deciso di fargli saltare l’auto. Per farlo, avrebbe convinto due militari con un grado inferiore al suo, Laudadio e Rubino. I due si sarebbero prestati e la notte tra il 12 e il 13 settembre 2010 avrebbe dato fuoco all’Audi di Defant usando della benzina. L’auto era parcheggiata sotto casa dell’uomo, tanto vicino che le fiamme avevano anche attaccato in parte il portone. Per fortuna non ci furono altri danni e l’incendio interessò solo la macchina. Ma l’attentato scosse subito tutta Terlago.
Infatti, fin dal primo momento apparve chiaro che si trattava di un incendio doloso. In molti si chiesero cosa potesse esserci alla base di un atto tanto grave. Poco lontano dalla macchina venne trovata una tanica con dentro della benzina. L’allarme scattò verso le due e un quarto di notte quando alcuni residenti hanno sentito degli strani rumori, dei botti che hanno agitato il silenzio della notte. Nel giro di pochi minuti si affacciò alla finestra anche Matteo Defant che vide la sua auto andare a fuoco. Immediatamente chiamò vigili del fuoco e carabinieri, che intervennero sul posto. I pompieri domarono le fiamme. Il giorno dopo Defant sporse denuncia
contro ignoti. Era scioccato e non sapeva spiegarsi l’accaduto. Per mesi e mesi sull’attentato c’è stata la nebbia più fitta. Non si riusciva a trovare il bandolo della matassa. Lo stesso Defant non riusciva a immaginare chi potesse avercela tanto con lui. Non aveva avuto discussioni o contrasti degni di rilievo. L’attentato, però, aveva colpito molto la comunità di Terlago e anche i paesi vicini. Un attentato degno della malavita organizzata era una novità per un piccolo paese tranquillo. Poi è arrivato il tassello giusto. I carabinieri hanno seguito la pista e sono arrivati ai tre militari. Le indagini sono partite dalla tanica con la benzina. Poi sono stati messi insieme tutti i pezzi del puzzle.

 

Dalle informazioni raccolte in paese, è emerso il rapporto non idilliaco che c’era tra Defant e il suo vicino maresciallo dell’esercito. Sulla base di queste prima informazioni, i carabinieri hanno iniziato a dipanare la matassa. Hanno controllato Palumbo e, partendo da lui e dalla tanica , sono riusciti a individuare anche i due esecutori dell’attentato. Secondo quanto ricostruito, dai carabinieri e dalla Procura, i due avrebbero agito per accontentare il loro superiore, forse per ottenere dei vantaggi sul lavoro. Ovviamente, però, queste sono tutte ipotesi che dovranno essere valutate dal giudice. Palumbo si è affidato agli avvocati Roberto e Sergio D’Amato, mentre Laudadio all’avvocato Sabina Pantezzi e Rubino all’avvocato Alfonso Quarto del foro di Santa Maria Capua Vetere. All’udienza preliminare potranno illustrare le loro ipotesi difensive. Sarà il giudice Forlenza a stabilire se l’incendio dell’Audi A4 di Defant è da attribuire a un attentato dovuto a banali e futili motivi.

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