Test tossicologico da manuale dell’orrore: il Consiglio di Stato inchioda la Difesa sul caso del carabiniere accusato dalla moglie
(di Avv. Umberto Lanzo)
Dalla denuncia familiare alla destituzione lampo
Era stata la moglie – non un collega, non un’indagine interna – a dare il via all’intera vicenda che rischiava di distruggere la carriera di un appuntato scelto dell’Arma dei Carabinieri. La donna lo accusò di far uso di stupefacenti, una querela che spinse il Ministero della Difesa e il Comando Generale dell’Arma a disporre accertamenti tossicologici. Un test del capello – condotto il 7 settembre 2021 – segnalò una presunta positività alla cocaina. Da lì la sanzione disciplinare più grave: perdita del grado per rimozione.
Il TAR smonta tutto: “Esame inattendibile e pieno di violazioni”
Il militare non ci stette e portò il caso davanti al TAR Veneto, che gli diede ragione. Nella sentenza – che oggi il Consiglio di Stato conferma integralmente – il Tribunale amministrativo elenca errori e leggerezze che definire “clamorosi” è poco.
La dottoressa incaricata del prelievo non indossava guanti sterili, il campione venne riposto in un contenitore non sterile, estratto dalla tasca del camice, e addirittura un collega del carabiniere, anch’egli senza guanti, partecipò al taglio dei capelli.
A ciò si aggiunge la mancata acquisizione della seconda ciocca, indispensabile per eventuali controanalisi, e il successivo test volontario del 18 novembre 2020, svolto in una struttura pubblica, risultato totalmente negativo.
L’appello della Difesa: “Ha ammesso l’uso, fiducia compromessa”
Nonostante questo quadro, il Ministero della Difesa e l’Avvocatura dello Stato hanno insistito in appello, davanti al Consiglio di Stato, sostenendo che gli accertamenti fossero “pienamente conformi ai protocolli” e che il militare avesse “ammesso un uso occasionale di stupefacenti”. Per la Difesa, questo bastava a compromettere irreversibilmente il rapporto fiduciario con chi porta un’arma e ad avallare la destituzione.
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Il Consiglio di Stato li smentisce: “Prove inaffidabili, nessuna ammissione”
La Seconda Sezione del Consiglio di Stato, con relatore Cons. Ugo De Carlo, non ha lasciato margini di dubbio: “Il ricorrente non ha mai ammesso alcun uso di sostanze stupefacenti”. Le sue dichiarazioni, spiegano i giudici, erano inserite in una linea difensiva ipotetica e non possono essere strumentalizzate come confessione.
Ma il vero punto debole resta la prova scientifica: “Un accertamento così viziato nelle modalità di esecuzione non può costituire la base di una misura tanto grave quanto la destituzione di un militare”, si legge nella sentenza del 17 giugno 2025. La positività riscontrata (0,05 ng/mg) era dieci volte inferiore al valore di riferimento internazionale (0,5 ng/mg) e non supportava alcuna certezza.
Condanna alle spese e monito alle Forze Armate
L’appello del Ministero è stato respinto e l’Amministrazione condannata a pagare 3.000 euro di spese legali al carabiniere. La sentenza è un monito severo: quando si maneggiano accuse capaci di distruggere una vita e una carriera, ogni passaggio deve essere impeccabile. Altrimenti, il procedimento disciplinare non regge e lo Stato paga.
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