“Siamo servitori, non servi”. La polizia ora scende in piazza
La “goccia che ha fatto traboccare il vaso” è stato l’omicidio di Trieste. I corpi esanimi di Matteo Demenego e Pier Luigi Rotta hanno smosso qualcosa nel ventre delle forze dell’ordine italiane. Poliziotti, carabinieri, forestali e vigili del fuoco scenderanno in piazza “come mai era successo prima”. Un modo per urlare l’indignazione, e la rabbia, di chi si sente “servitore sì, ma non servo”.
L’appuntamento è previsto per martedì 22 ottobre, dalle 11.00 alle 14.00, in piazza Montecitorio. Il luogo non è casuale. “La politica ha usato la polizia per giochi di partito, tralasciando la sicurezza”, sentenzia Andrea Cecchini, sindacalista e celerino. “Per questo mostreremo ai politici tutte le promesse fatte in questi anni e mai mantenute”. Di motivi per scendere in piazza i tutori dell’ordine ne hanno a decine. Rimostranze già presentate a chi ha, o avrebbe, il potere di cambiare le cose. Senza però ottenere nulla. “Potrei stare qui tutto il giorno ad elencare i motivi della nostra indignazione”, spiega Cecchini. Gli agenti vorrebbero il riordino delle carriere, l’aumento degli straordinari e nuovi contratti. Ma sono soprattutto le tutele sanitarie e legali a impensierirli. E ora vogliono risposte.
Se si chiede sicurezza, in fondo, bisogna garantire sicurezza a chi opera sulla strada. Inutile girarci attorno. Le divise lamentano la mancanza di mezzi idonei, armamenti efficaci e regole d’ingaggio chiare. “I tagli lineari hanno impedito di acquistare gli strumenti che ci servono per fare questo mestiere”, insiste Cecchini. La politica ha preferito altre voci di spesa, tralasciando il settore “sicurezza”, e così gli agenti sono rimasti a secco. Ad oggi non esiste neppure un protocollo che metta nero su bianco come un operatore della sicurezza dovrebbe agire in ogni determinato momento. Ci si affida all’improvvisazione. Le manette, poi, solo in caso di “comprovato pericolo”, finché un killer non ruba le pistole a due poliziotti e li manda all’altro mondo. Per non parlare dei Taser, promessi da tempo ma ancora fermi al palo “per colpa dei tagli”: “Se ogni agente o carabiniere ne avesse uno, oggi il contatore dei feriti sarebbe sicuramente inferiore”. E forse l’Italia avrebbe pianto qualche servitore dello Stato in meno.
In piazza martedì non ci saranno simboli sindacali. L’idea è quella di far nascere un “movimento dal basso”, che ottenga l’appoggio anche dei cittadini. La partecipazione è libera. “Quella di servire le istituzioni è una scelta che noi abbiamo fatto da tempo e rinnoviamo ogni giorno, sacrificando i nostri affetti e mettendo a repentaglio la nostra incolumità, quando non la vita stessa”. Ma Cecchini e gli altri poliziotti non ci stanno più a fare “la parte dei servi”: “In tutti gli altri Stati del mondo aggredire una donna o un uomo in divisa comporta gravi, immediate ed ineluttabili conseguenze giudiziarie oltre che la condanna unanime. Solo in Italia non è così”. Qui poliziotti, carabinieri, finanzieri, penitenziari e anche vigili del fuoco possono essere aggrediti senza che nessuno si scomponga più di tanto. Se invece arrestano un malvivente, il giorno dopo se lo ritrovano di nuovo libero. E se mai dovesse partire una carica, apriti cielo. “Il caso di Fassina è emblematico – spiega Cecchini – di come una certa politica non aspetti altro che attaccarci”.
Ora le forze dell’ordine non ci stanno più. Sono “stanche di vedersi mortificate”. “Mai rinnegheremo il sacro giuramento che abbiamo fatto e mai ci gireremo dall’altra parte quando vedremo violata la legge, ma l’indifferenza delle istituzioni sta ormai superando il livello di guardia, non possiamo restare in silenzio”.
di Giuseppe De Lorenzo per il Giornale.it