Servizi Segreti, Mancini lascia a luglio. Pesano le domande sul suo incontro con Renzi
Marco Mancini va in pensione. Secondo quanto appreso dall’agenzia LaPresse, che cita fonti qualificate, l’agente dei servizi segreti, finito nella burrasca per l’incontro all’autogrill con Matteo Renzi documentato dalla trasmissione Report, firmerà per andare in pensione a metà luglio all’età di 60 anni.
Per Marco Mancini sarebbe stata una scelta obbligata. Lo scalpore dovuto all’incontro con Matteo Renzi e il cambio al vertice del Dis, con l’arrivo di Elisabetta Belloni al posto di Gennaro Vecchione alla guida del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, avrebbero spinto i Servizi a ‘suggerire’ all’agente il ritorno nell’arma dei carabinieri come maresciallo.
Un sorta di licenziamento, che avrebbe spinto Mancini a propendere per il pensionamento anticipato.
Servizi segreti, chi è Marco Mancini e perché l’incontro con Renzi ha fatto scalpore
Marco Mancini ha passato 37 anni nei servizi segreti italiani. Il suo incontro con il leader di Italia Viva, Matteo Renzi, avvenuto a dicembre 2020 con il governo Conte bis in piena crisi, ha portato l’ex capo del Dis, Vecchione, a essere convocato dal Copasir.
Non avrebbe saputo dare una spiegazione, per questo sarebbe stato sostituito da Elisabetta Belloni: un cambio deciso dal premier Mario Draghi.
Nel suo passato, Mancini è stato dirigente dell’ex Sismi nel periodo in cui Nicola Calipari perse la vita per liberare la giornalista Giuliana Sgrena, per proseguire con il caso Abu Omar, imam della moschea di Milano rapito il 17 marzo 2003 dagli agenti della Cia.
Secondo la ricostruzione dell’allora pm della procura di Milano, Armando Spataro, Abu Omar venne rapito grazie all’aiuto degli agenti dei servizi segreti italiani, tra cui Mancini. Inizialmente si sospese il processo per il segreto di Stato, poi la Cassazione intervenne e riformulò l’Appello, in cui Mancini fu condannato a 9 anni. Sentenza, infine, annullata dalla Consulta, criticata dalla Cassazione poiché “l’azione penale non poteva essere proseguita per l’esistenza del segreto di Stato”.
L’Italia ha subìto una condanna dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo nel 2016 proprio per aver “applicato il principio del segreto di Stato in modo improprio, affinché i responsabili del rapimento non dovessero rispondere delle loro azioni”.