Se raggiungere la mensa richiede un sacrificio sproporzionato spetta il buono pasto ai poliziotti: la sentenza del Consiglio di Stato
RIportiamo una recente sentenza del Consiglio di Stato che sottolinea la responsabilità dell’Amministrazione nel fornire un servizio di mensa per i propri dipendenti. Nel caso in cui la creazione di una mensa interna risulti impossibile, l’Amministrazione può fornire buoni pasto o organizzare una convenzione con enti pubblici o esercizi privati. Tuttavia, la mancanza di una mensa è considerata come un’impedimento giustificato per l’assegnazione dei buoni pasto solo se raggiungere una mensa disponibile richiederebbe un sacrificio eccessivo da parte dei lavoratori.
Buoni pasto: una soluzione alternativa per i dipendenti impossibilitati ad accedere alla mensa di servizio
Il Ministero dell’interno ha impugnato la sentenza con cui il TAR del Veneto ha accolto il ricorso proposto da un gruppo di poliziotti in forza al Servizio Polizia di frontiera presso l’Aeroporto “Antonio Canova” di Treviso, volto a censurare la decisione dell’Amministrazione di erogare i buoni pasto esclusivamente ai lavoratori il cui turno sia considerato incompatibile con il raggiungimento della mensa di servizio presso gli uffici della Questura. Su queste pagine riportammo in anteprima la sentenza (qui il link per chi voglia rileggerla)
La vicenda
Con nota del 26 luglio 2019 il dirigente della Polizia di frontiera aerea di Treviso sospendeva l’erogazione del buono-pasto, «essendo (la Questura di Treviso) “in grado di assicurare il funzionamento della mensa obbligatoria di servizio a favore di tutti gli Uffici della Polizia di Stato aventi sede nel comune di Treviso”»
A seguito della presentazione da parte dei dipendenti di una diffida a mantenere l’attribuzione del “ticket”, con una nota successiva il dirigente della Polizia di frontiera aerea disponeva che «con decorrenza retroattiva, 26 luglio 2019, verranno contabilizzati i ticket restaurant per quelle ulteriori fasce orarie per le quali, a seguito di ricognizione, ricorrono quelle oggettive impossibilità logistiche e di servizio (8.00/14.00; 13.00/19.00 e 19.00/24). Quanto sopra fino alla stipulazione di una convenzione con un apposito esercizio di ristorazione».
Il Ricorso al TAR
I ricorrenti hanno impugnato detto provvedimento dinanzi al TAR del Veneto, il quale ha accolto il ricorso, ritenendo che «in considerazione della distanza e dei tempi di percorrenza, la mensa situata presso la Questura di Treviso non può ritenersi soluzione idonea a garantire l’effettivo accesso al pasto al personale adibito alla sede disagiata presso l’Aeroporto Canova», personale al quale deve dunque essere riconosciuti i buoni-pasto sino all’effettiva attivazione, da parte dell’Amministrazione, di una soluzione alternativa, mediante apertura di una mensa presso il luogo di lavoro oppure stipulazione di una convenzione con un servizio di ristorazione».
Il Ministero ha proposto appello, chiedendo la sospensione dell’esecutività della pronuncia e allegando di aver attivato, con decorrenza dal 3 febbraio 2020, una convenzione con un ristorante situato nelle vicinanze dell’aeroporto.
Nel giudizio di secondo grado si sono costituiti i poliziotti, chiedendo il rigetto del gravame e riferendo che la convenzione avviata all’inizio del 2020 non è stata rinnovata.
La normativa vigente
Dal quadro normativo vigente emerge che, per assicurare la fruizione del pasto ai dipendenti delle “sedi disagiate”, l’Amministrazione è chiamata, in primo luogo, a costituire una mensa di servizio; nei casi in cui sia impossibile assicurarne il funzionamento, può provvedere ai sensi dell’art. 55 del DPR n. 782 del 1985, dunque, in ordine di preferenza: a condividere mediante convenzione la mensa gestita da altri enti pubblici, ad appaltare il servizio o a stipulare accordi con esercizi privati; oppure può attribuire ai dipendenti buoni-pasto giornalieri.
La sentenza del Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato ha concordato con il Tribunale sia quando afferma che «spetta in definitiva all’Amministrazione valutare se attivare una mensa presso la sede di servizio o se stipulare una convenzione con un servizio di ristorazione o se riconoscere al personale il buono pasto», sia quando argomenta che laddove l’accesso alla mensa non sia “possibile” – cioè l’Amministrazione non riesca ad assicurarne il “funzionamento” rispetto ad alcuni dei suoi dipendenti – e non siano state stipulate convenzioni con altri Enti pubblici per l’uso della loro mensa o con ristoranti privati, ai lavoratori spetta il buono-pasto quale unica soluzione in concreto disponibile.
L’impossibilità di accedere alla mensa
La possibilità o meno di accedere alla mensa deve essere valutata secondo il criterio di buona fede, che è un principio generale del diritto, corollario del dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost. e oggi codificato dall’art. 1, co. 2-bis, della legge n. 241 del 1990, quale criterio cui devono improntarsi i rapporti tra cittadino e Amministrazione, il quale, come afferma una giurisprudenza ormai consolidata, «impone a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio di agire nell’ottica di un bilanciamento degli interessi vicendevoli, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di norme specifiche».
L’ “impossibilità” di accedere alla mensa, rilevante ai fini della sussistenza del diritto al buono-pasto (in mancanza dell’attivazione di convenzioni con altre mense o con ristoranti), sussiste pertanto anche quando raggiungerla richiederebbe ai lavoratori un sacrificio sproporzionato.
Per quanto rileva nel caso di specie – sottolinea il Consiglio di Stato – è da considerarsi ragionevolmente sproporzionato pretendere che i poliziotti in servizio presso l’aeroporto, posto al di fuori dall’abitato cittadino, debbano entrare in città per usufruire della mensa costituita presso la Questura – dove non avrebbero altro motivo di recarsi – per poi andare o tornare in servizio oppure rientrare a casa, dato che l’Amministrazione non assicura loro la fruizione del pasto nelle vicinanze del luogo di lavoro.
Il Consiglio di Stato ha condannato il Ministero dell’Interno al pagamento in favore degli appellanti delle spese processuali del grado, complessivamente liquidate in 4.000 euro, oltre oneri e accessori di legge.
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