Risarcimento danni mancata attuazione previdenza complementare, la sentenza che respinge ricorso e condanna ricorrenti alle spese
Sulla scorta della sentenza emanata dalla Corte dei Conti della Puglia (Sentenza n. 207/2020), che ha riconosciuto un risarcimento danni in favore di un sottufficiale dell’Aeronautica militare proprio in seguito al manca avvio della previdenza complementare (di cui vi abbiamo parlato in anteprima 2 anni fa in questo articolo – clicca per approfondire), molti appartenenti alle Forze Armate e di Polizia hanno ritenuto opportuno proporre ricorso.
Una recente sentenza della Corte di Cassazione – Sezioni Unite ha attribuito al Giudice Amministrativo e non alla Corte dei Conti la competenza in ordine al contenzioso sull’eventuale risarcimento danni per mancato avvio della previdenza complementare del comparto sicurezze e difesa.
Dopo la dirimente sentenza della Suprema Corte di Cassazione militari e poliziotti hanno proposto ricorso ai TAR (e non più alla Corte dei Conti) per vedersi riconosciuto il risarcimento da mancato avviato avvio della previdenza complementare. Oggi vi anticipiamo una sentenza del TAR Lazio in merito a questo ricorso che coinvolge centinaia di partecipanti.
I motivi del ricorso
I ricorrenti appartenenti alle Forze di polizia, alle Forze armate, ai Corpi di polizia ad ordinamento militare, hanno esposto al TAR Lazio che il proprio trattamento pensionistico sarà calcolato con il sistema c.d. “misto” – ovvero “retributivo” con riferimento al servizio prestato fino al 31 dicembre 1995, e “contributivo” per quello svolto dal 1° gennaio 1996 – secondo quanto risulta dalle date di “arruolamento”.
Il trattamento pensionistico di base, quindi, non essendo più calcolato integralmente con il sistema c.d. “retributivo”, subirà una consistente e permanente decurtazione economica – di importo inversamente proporzionale rispetto all’anzianità di servizio maturata al 31 dicembre 1995.
Il personale del comparto difesa e sicurezza è destinatario di limiti d’età ordinamentali inferiori rispetto alla generalità dei lavoratori, con la conseguente applicazione di C.T. meno favorevoli. Ciò comporta che, con un’anzianità contributiva pari o, anche, superiore rispetto a quella del pubblico impiego, il trattamento di pensione del personale militare è significativamente più basso. Il legislatore, proprio al fine di calmierare gli effetti negativi di tale meccanismo di calcolo, aveva introdotto una forma di previdenza complementare con il contestuale passaggio dal Trattamento di Fine Servizio al Trattamento di Fine Rapporto.
Per il personale appartenente al comparto difesa e sicurezza, tuttavia, non è mai stata attivata tale forma di previdenza complementare, quindi i ricorrenti hanno subito un notevole pregiudizio di tipo patrimoniale, posto che non è stato consentito di destinare il Trattamento di Fine Rapporto maturato presso uno specifico fondo pensione.
Nell’assumere la configurabilità di una precisa responsabilità delle P.A. intimate per l’omesso esercizio della specifica funzione amministrativa finalizzata alla costituzione del Fondo pensione di comparto e alla connessa istituzione della Previdenza complementare, i ricorrenti hanno richiesto all’adito Organo di giustizia amministrativo di pronunziare la condanna di queste ultime al risarcimento del danno, sulla base dei parametri individuati nella pronuncia resa dalla Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale per la Puglia n. 207/2020.
La sentenza del TAR Lazio
Il collegio ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo di non doversi discostare dal consolidato orientamento giurisprudenziale, che ha escluso la legittimazione ad agire dei singoli dipendenti nel procedimento per l’accertamento dell’obbligo di provvedere all’attuazione della previdenza complementare. E’ stato, infatti, costantemente affermato, in analoghe fattispecie, che i dipendenti pubblici destinatari dell’attività contrattuale collettiva, o del decreto presidenziale di recepimento degli esiti della procedura di concertazione, sono titolari di un interesse del tutto indiretto e riflesso, e non già di un interesse concreto, attuale e direttamente tutelabile in ordine all’avvio e conclusione dei procedimenti negoziali in questione, appartenenti in via esclusiva alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative (per quanto attiene alle Forze di Polizia ad ordinamento civile) e ai Comitati centrali di rappresentanza, quali organismi esponenziali d’interessi collettivi (per quanto attiene alle Forze di Polizia ad ordinamento militare e al personale delle Forze Armate), chiamati entrambi a partecipare ai predetti procedimenti negoziali.
Conseguentemente – ha precisato il TAR – la legittimazione a far valere eventuali inadempimenti dell’obbligo di adozione di provvedimenti amministrativi appartiene in via generale ai soli soggetti titolari dell’interesse, concreto ed attuale, direttamente riguardato dalla norma attributiva del potere autoritativo, i quali proprio in ragione di tale titolarità sono dunque legittimati a partecipare al relativo procedimento amministrativo.
Secondo i giudici amministrativi i dipendenti sono portatori di un interesse soltanto indiretto, in relazione all’effettiva entrata in vigore del nuovo regime previdenziale e non sono, diversamente, legittimati a partecipare al relativo procedimento, non essendo titolari in proposito di un interesse personale, concreto ed attuale, specificamente tutelato dalla norma attributiva del potere con la previsione di un correlato obbligo di provvedere in capo alle Amministrazioni competenti.
Non può condurre ad una diversa interpretazione la tesi per cui la legittimazione non potrebbe essere attribuita alle organizzazioni sindacali, in quanto l’interesse protetto riguarderebbe solo una parte, rispetto ai soggetti da tali organizzazioni complessivamente rappresentati. Infatti – precisano i giudici nella sentenza esaminata dall’avvocato militare di infodifesa.it – nel caso di specie, è la disciplina legislativa che attribuisce la materia alla contrattazione e alla concertazione sindacale, con ciò sottraendola alle posizioni soggettive dei singoli dipendenti: i quali, anche nell’ambito del pubblico impiego privatizzato, non possono intraprendere autonome azioni per la tutela di posizioni affidate alla contrattazione collettiva (ad esempio, per eventuali aumenti retributivi o per la rimodulazione dell’orario di lavoro negli ambiti di competenza della contrattazione).
L’azione proposta è inaccoglibile anche perché il sistema della previdenza complementare è stato integralmente rimesso alle procedure di negoziazione e di concertazione, con la conseguenza che le Amministrazioni non hanno alcun autonomo obbligo di provvedere, non potendo unilateralmente disciplinare la materia; né, peraltro, sono previsti termini nei quali debba essere data attuazione alla detta previdenza complementare.
Nel caso di specie, quindi, la tutela dei singoli passa necessariamente attraverso le loro eventuali istanze all’interno degli organi di rappresentanza.
In difetto dell’attivazione della previdenza complementare nessuno dei ricorrenti può essere in grado di dimostrare che avrebbe, effettivamente, manifestato consenso e/ adesione a siffatta forma previdenziale, con riveniente identificazione del pregiudizio nella preclusa possibilità di conseguirne i benefici, quanto alla determinazione del trattamento di quiescenza. Né la Corte di Cassazione, ha riconosciuto la configurabilità di un siffatto pregiudizio (e, con essa, la risarcibilità del danno): piuttosto, essendosi limitata ad affermare la cognizione giurisdizionale del giudice amministrativo, sulla base del seguente principio di diritto: «La domanda avente ad oggetto il risarcimento del danno da mancata attuazione della previdenza complementare per il personale del Comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico, riservata alla concertazione/contrattazione è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, attenendo all’inadempimento di prestazioni di contenuto solo genericamente previdenziale e strettamente inerenti al rapporto di pubblico impiego, non già a materia riguardante un riguardante un trattamento pensionistico a carico dello Stato, sicché la relativa controversia esula dalla giurisdizione della Corte dei conti».
Ciò posto, e ribadita la carenza di legittimazione attiva in capo agli odierni ricorrenti, non si dimostra configurabile, ai fini risarcitori – secondo i giudici amministrativi – la sussistenza stessa della responsabilità in capo all’Amministrazione.
Il TAR ha quindi respinto il ricorso condannando i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese di lite, in favore delle resistenti Amministrazioni, in ragione di complessivi € 20.000,00 oltre accessori come per legge.