Avvocato Militare

RIFIUTARSI DI SEGUIRE LA POLIZIA E’ REATO?

La dr.ssa Sabina Coppola in un articolo per La Legge per Tutti, ha affrontato un’interessante disamina sul rifiuto di seguire la polizia, in particolare secondo l’autrice è perseguibile soltanto chi usa violenza o minaccia, configurandosi in tal modo il reato di resistenza a pubblico ufficiale.

Rifiutarsi di seguire la polizia, così come darsi alla fuga, non costituisce di per sé reato (trattandosi solo di un’ipotesi di resistenza passiva), a meno che non vengano utilizzate violenza o minaccia nei confronti del pubblico ufficiale: in quest’ultimo caso anche rifiutarsi di seguire la polizia realizza il reato di resistenza a pubblico ufficiale. Ma analizziamo per ordine le due ipotesi.

La resistenza a pubblico ufficiale

Il delitto di resistenza a pubblico ufficiale [1] prevede la punizione di chiunque:

  • usi violenza o minaccia;
  • per opporsi a un pubblico ufficiale, a un incaricato di un pubblico servizio o a coloro che (su richiesta) gli prestano assistenza;
  • mentre compie un atto di ufficio o di servizio.

Elemento essenziale del reato, quindi, è la violenza (o minaccia) che deve essere idonea a coartare la volontà del soggetto pubblico mentre sta compiendo un atto del suo ufficio: si consideri che gli ufficiali di polizia di stato o gli altri pubblici ufficiali sono considerati in servizio permanente, nel senso che non dismettono la loro qualifica di pubblici ufficiali neanche quando sono liberi dal servizio, essendo tenuti ad esercitare le proprie funzioni anche in tali circostanze, qualora si verifichino i presupposti di legge.

Ciò comporta che Tizio commetterà il reato di resistenza a pubblico ufficiale anche se, usando la violenza, si rifiuterà di seguire un poliziotto che non sia in servizio ed indossi abiti civili (immaginiamo un poliziotto in spiaggia, in costume che interviene in una rissa e si qualifichi come agente di polizia).

Allo stesso modo, commetterà il reato di resistenza a pubblico ufficiale chi si opporrà alla sua attività con una violenza definita impropria, ovvero realizzata attraverso l’uso di mezzi anomali diretti ad esercitare pressioni sulla volontà altrui, impedendone la libera determinazione (si tratta del caso in cui un cittadino, fermato dai carabinieri  che gli intimino di seguirli in caserma, anziché minacciarli o usare violenza nei loro confronti, punti i piedi e le mani sulla loro auto, per evitare di essere caricato sulla stessa e di essere così condotto nei loro uffici). Dunque, la violenza impropria è rappresentata da quella violenza che, pur non aggredendo direttamente il pubblico ufficiale, si riverbera negativamente sull’esplicazione della relativa funzione pubblica, impedendola o semplicemente ostacolandola.

Cos’è la resistenza passiva?

Rifiutarsi di seguire la polizia non è reato se avviene senza violenza, ovvero attraverso l’inerzia o la fuga, seppure messe in atto sempre al fine di impedire al pubblico ufficiale di adempiere ad un suo dovere di ufficio.

Si tratta del caso di un soggetto che scelga di darsi alla fuga, nonostante l’alt intimatogli dalle forze dell’ordine; la fuga in quanto tale, considerata astrattamente, non integra il reato di resistenza a pubblico ufficiale, proprio perché il semplice sottrarsi all’incontro (o al semplice contatto) con il pubblico ufficiale concreta un atteggiamento passivo, non violento e non minaccioso.

Naturalmente se la fuga assume particolari connotazioni, nel senso che ad essa si accompagnino manovre che concretino una vera e propria intimidazione contro il pubblico ufficiale (o l’incaricato di pubblico servizio), atta a paralizzarne o contrastarne l’attività, è agevole comprendere che, esistendo l’elemento della violenza o della minaccia, si realizzerà il delitto di resistenza al pubblico ufficiale.

È sempre necessario analizzare il caso concreto, cioè verificare se la condotta della persona fermata dal pubblico ufficiale (o da un incaricato di un pubblico servizio) sia stata davvero posta in essere (con violenza e/o minaccia) al fine di impedire il compimento della sua attività.

Le cause di non punibilità

Oltre a chi non usa violenza o minaccia per opporsi all’attività che il pubblico ufficiale sta compiendo, non è punibile neanche chi si opponga all’azione del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio che, con atti arbitrari, abbia superato i limiti dei poteri che gli sono riconosciuti dal lavoro che svolge e dalla carica che ricopre [2].

Ciò significa che, se l’attività del pubblico ufficiale è ingiustamente persecutoria ed il suo comportamento fuoriesce del tutto dalle ordinarie modalità di esplicazione dell’azione di controllo e prevenzione demandatagli dallo stato, allora la reazione del privato può essere giustificata e non si realizzerà alcun delitto di resistenza.

note

[1] Art. 337 cod. pen.

[2] Art. 393 bis cod. pen.

Può essere utile integrare l’articolo della dr.ssa Coppola, con un ulteriore spunto di riflessione, fornito da una sentenza della Suprema Corte di Cassazione nel 2012 (nr.21192) che ha statuito che non sussiste il reato se l’automobilista, alla richiesta degli operatori di polizia stradale che non hanno un apparecchio portatile, si rifiuta di seguire la polizia al fine di sottoporsi in ospedale alle analisi per stabilire il tasso alcolemico.

In particolare la Suprema Corte ha ricordato che “che nel nostro ordinamento vige il “principio di legalità” secondo il quale l’esercizio del potere pubblico deve essere fondato sulla legge. Tale principio mira a preservare i cittadini dal pericolo di arbitri.Con particolare riferimento alle modalità di espletamento degli accertamenti di cui al terzo comma dell’art. 186, la disposizione non prevede la possibilità di accompagnamento coattivo del conducente.

Né può dirsi che tale potere sia implicito nella disposizione in quanto, costituendo l’accompagnamento una limitazione della libertà personale, esso deve essere esplicitamente previsto dalla legge.La fondatezza di tale assunto è rinvenibile nelle norme del codice di procedura penale che, nel prevedere ipotesi di accompagnamento coattivo, non solo le tipizzano, ma ne prevedono specifici presupposti e modalità di attuazione: art. 132 (accompagnamento coattivo dell’imputato); art. 133 (accompagnamento coattivo di altre persone); art. 349, c. 4, (accompagnamento per identificazione); art. 376 (accompagnamento coattivo per procedere ad interrogatorio o confronto); art. 399 (accompagnamento coattivo in sede di incidente probatorio); art. 490 (accompagnamento coattivo dell’imputato in dibattimento).”

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