Restituita la scorta al Capitano Ultimo. La revoca è stata «frettolosa e non motivata in modo approfondito»
Il «Capitano Ultimo», Sergio De Caprio, ha di nuovo la scorta. Lo ha stabilito il Tar del Lazio, che ha giudicato illegittimo il provvedimento con il quale la Prefettura di Roma, a settembre, aveva revocato al colonnello De Caprio — l’uomo che nel 1993 arrestò Totò Riina — il dispositivo di protezione in suo favore disposto dall’Ufficio Centrale Interforze per la Sicurezza personale.
«Siamo orgogliosi del fatto che il Tar abbia accolto la nostra tesi difensiva», fa sapere il difensore del Capitano Ultimo, Antonino Galletti. Già sei mesi fa era stato accolto in via d’urgenza il ricorso presentato dall’Ufficiale dell’Arma e la decisione era stata sospesa, inoltre all’Amministrazione era stato ordinato di rivalutare la questione. Ora è arrivata la decisione definitiva.
L’avvocato del Capitano Ultimo spiega che «secondo i giudici la decisione della revoca della misura di protezione personale avrebbe dovuto essere adottata sulla base di una valutazione approfondita e specifica in ordine alla situazione di rischio in cui versa tuttora Ultimo. Viceversa, la revoca è stata frettolosa e non motivata in modo approfondito». Il difensore del colonnello precisa che, senza la scorta, il suo assistito sarebbe stato esposto «a gravi rischi» che «fortunatamente i magistrati amministrativi hanno scongiurato, prima in sede cautelare con l’ordinanza di sospensiva ed ora definitivamente». La decisione del tribunale amministrativo è stata presa dopo aver valutato la questione nel merito.
A settembre, quando la revoca della scorta era stata resa nota, il colonnello Sergio De Caprio aveva protestato pubblicamente contro la decisione parlando senza mezzi termini — in un tweet — di «mobbing di Stato». «I peggiori sono sempre quelli che rimangono alla finestra a guardare come andrà a finire», aveva scritto Ultimo, «accetto questa misura ma Bagarella è ancora pericoloso. Sempre tutti uniti contro la mafia. No abbandono, no omertà, no mobbing di Stato».