REATO DI TORTURA: SI TUTELA IL CRIMINALE E SI AMMANETTA IL POLIZIOTTO
Il reato di tortura mette le manette alle forze dell’ordine. Anzi, rischia di convincere ad incrociare le braccia in caso di situazioni a rischio, che tanto non ne vale la pena. Le maniere forti contro un ubriaco violento che minaccia e sputa il poliziotto, che crea disordine, che prende a bastonate una volante potrebbero essere messe al bando con l’eventuale approvazione del reato di tortura. Un reportage di Silvia Mancinelli per il Tempo.it riprende i differenti punti di vista su questa proposta di Legge.
Il criminale anche quello sorpreso in flagranza di reato, va trattato con gentilezza e, perché no, con delicatezza. Che non si sa mai. Mettiamo, ad esempio, il caso di un sospetto spacciatore che venga pressato dall’investigatore perché riveli il nascondiglio della droga ho il suo fornitore. Stressato, potrebbe rivalersi in sede giudiziaria sulle sofferenze psicologiche procurate dal poliziotto da carabiniere in piccione. Per non parlare dei fermati che, è successo più volte, iniziano a picchiare con violenza la testa sul finestrino della volante sul sedile, a procurarsi tagli o escoriazioni così da mettere nei guai chi li ha bloccati e portati in commissariato o in caserma.
Non è fantasia è pura realtà. Quella vissuta degli agenti dei militari che lavorano in strada, che se la vedono in prima persona con i banditi e che hanno imparato a usare i propri telefoni cellulari per riprendere il furbo di turno. La tortura è fisica, ma anche psicologica. Non sempre, forse, dimostrabile con esattezza. A maggior ragione con un “pasticcio giuridico” che non piace più nemmeno a chi l’aveva proposto 4 anni fa.
Secondo il senatore Luigi Manconi del Partito Democratico, proponente del testo di legge in esame, il reato di tortura è stato stravolto. “Io volevo tutelare l’onore delle divise”. Senatore cosa è cambiato nel testo del disegno di legge e perché ha deciso di non partecipare al voto? È cambiato tutto. Il mio testo si ispirava alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 1984 accogliendone i principi. A partire dalla definizione della tortura come espressione di abuso di potere dunque imputabile a pubblici ufficiali e chi eserciti pubblico servizio. Non certo per accanimento nei confronti delle forze di polizia, ma proprio per tutelarne l’onore distinguendo nettamente tra chi, pochissimi, esercita la tortura, e chi, la stragrande maggioranza, rispetta la legalità. Nel testo originario si parla poi di “ogni violenza fisica”, ma nelle versioni successive quella formula rigorosa si trasforma, prima nel plurale “le violenze” poi in “reiterate violenze” infine in “più condotte”. Ovvero comportamenti che dovrebbero protrarsi nel tempo per poter configurare il reato di tortura.
Secondo Gianni Tonelli del SAP, il reato di tortura è un manifesto ideologico contro la polizia. Teme che questo provvedimento possa limitare l’operato delle forze dell’ordine? “Lo ingessa, già solo per il fatto che nasce come reato proprio, contro il pubblico ufficiale. La mia parola non vale più fino a prova contraria, basti pensare ai fatti di Guidonia, con il poliziotto indagato nonostante i testimoni ed il pericolo reale che si è trovato ad affrontare. Aumentano i reati e chi li commette. Nel mirino ci sono le forze dell’ordine trattate peggio dei pedofili di mafiosi.
Secondo l’avvocato Fabio Anselmo il Paese è ipocrita infatti il reato già esiste nel codice penale militare. “La Corte Europea condanna sistematicamente a risarcire i danni per la mancanza di questa legge. E chi li paga? Noi cittadini, con le nostre tasse, anziché di commettere questi fatti. Ma perché il reato di tortura è riferito solo le forze dell’ordine? Perché no? La tortura è un reato proprio in tutti gli organismi internazionali. A me andava bene anche come reato comune, ma perché dobbiamo averne paura? Se esiste in Turchia, in Egitto, perché noi no? Servono anticorpi per reprimere gli abusi. Il fatto di avere una divisa non rende i poliziotti pesanti. E no, non c’è prevenzione ideologica”.