PUNITI I FURBETTI DELLA QUESTURA: DORMIVANO NELLE VOLANTI DURANTE IL SERVIZIO
squadra mobile di Rovigo e alcuni delle Volanti – abituati, durante il lavoro
notturno, a dormire sonni tranquilli in ufficio o nelle macchine di servizio
invece di pattugliare il territorio ed eseguire i controlli anticrimine.
Cassazione ha confermato le condanne a carico di 22 agenti messi sotto
inchiesta dal loro capo e dal questore Amalia Di Ruocco. Le pene inflitte –
dalla Corte di Appello di Venezia il 7 novembre 2014 – variano da dieci mesi a
due anni e sette mesi di reclusione, sono tutte sospese e con il beneficio
della non menzione. Le accuse sono di truffa e falso e per alcuni anche di
abbandono del posto di servizio. Gli agenti sono stati intercettati nelle
macchine e negli uffici, le cimici erano state messe dappertutto e la truffa è
venuta a galla tanto che il pm ha chiesto il giudizio immediato. I poliziotti
facevano finta di pattugliare quando rispondevano all’autoradio, dicevano che
il motore non si sentiva perchè andavano piano, ma il Gps li ha scoperti in
fermo siesta. In Cassazione i ‘furbetti in divisa hanno usato linee difensive
definite dai supremi giudici come «grottesche» e «assurde»: secondo alcuni per
motivi di privacy le auto di servizio non si potrebbero intercettare, per
farlo, servirebbe il permesso dei sindacati di categoria.
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«Va ricordato – scrive la Cassazione nel verdetto 5550 depositato oggi, udienza del 25 novembre
– che l’abitacolo di un autoveicolo privato non può essere considerato luogo di
privata dimora; meno che mai può esserlo quello di una vettura di servizio
della polizia di Stato» perché «esso è il luogo di lavoro, non solo per chi vi
si trova al momento della intercettazione, ma anche per chi, pur non presente
in esso, sta coordinando il servizio». «D’altra parte – prosegue la sentenza –
sostenere che la intercettazione sul luogo del lavorò debba essere effettuata
con il benestare delle associazioni sindacali sarebbe affermazione al limite
del grottesco». La Suprema Corte ha ritenuto, inoltre, «al limite della
provocazione» l’assunto difensivo di chi ha sostenuto che anche il capo della
mobile e il questore andavano inquisiti perché mentre le indagini erano in
corso facevano finta di niente così divenendo complici degli indagati.
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«È
evidente (o almeno dovrebbe esserlo) – rilevano gli ermellini – che tanto il
capo della squadra mobile, quanto il questore, stavano adempiendo al loro
dovere in virtù della delega conferita dal pm». «Diversamente ragionando, anche
lo stesso sostituto procuratore avrebbe dovuto essere iscritto nel registro
degli indagati in quanto concorrente nei delitti sui quali stava svolgendo (e
delegando) attività di indagine, o come favoreggiatore degli stessi: l’assunto
sarebbe grave, se non fosse assurdo», hanno concluso i supremi giudici. I fatti
contestati si sono svolti dal 3 gennaio al 5 marzo del 2008.