PROCESSO STATO – MAFIA, TUTTI ASSOLTI I SERVITORI DELLO STATO.
La Corte d’Assise d’Appello, presieduta da Angelo Pellino (a latere Vittorio Anania), ha deciso di rivedere il verdetto sulla così detta trattativa tra pezzi deviati dello Stato e Cosa nostra. I giudici erano entrati in camera di consiglio, nel bunker del carcere Pagliarelli, intorno alle 13 di lunedì scorso. Ne sono usciti poco fa, alle 17.35, e hanno sancito l’assoluzione degli ex ufficiali del Ros dei carabinieri Mario Mori e Antonio Subranni, nonché dell’ex capitano dei carabinieri Giuseppe De Donno (assistiti dall’avvocato Basilio Milio) “perché il fatto non costituisce reato”. Assolto anche l’ex senatore Marcello Dell’Utri, “per non aver commesso il fatto”.
Condanna ridotta invece a 27 anni per il boss Leoluca Bagarella, dopo aver riqualificato il reato. Confermata soltanto la condanna per il medico e uomo di fiducia del boss Totò Riina, Antonino Cinà, ovvero 12 anni di carcere. A tutti viene contestato il reato di violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario dello Stato. L’udienza preliminare iniziò ormai a nove anni fa e gli imputati furono rinviati a giudizio dal gup Piergiorgio Morosini a marzo del 2013. Lunghissimo e costante è stato il dibattito sull’opportunità stessa di celebrare il processo.
L’accusa, rappresentata in appello dai sostituti procuratori generali Giuseppe Fici e Sergio Barbiera aveva chiesto la conferma della sentenza di primo grado, pronunciata nella stessa aula il 20 aprile del 2018 dalla Corte presieduta da Alfredo Montalto: erano stati inflitti 28 anni a Bagarella, 12 anni a testa Dell’Utri, a Mori, Subranni e Cinà e 8 anni a De Donno. Nel frattempo è andata prescritta la condanna a 8 anni per l’originario “supertestimone” Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo, Vito, accusato di calunnia nei confronti dell’ex capo della polizia, Gianni De Gennaro, e concorso esterno, ed era stata sancita la prescrizione per il pentito Giovanni Brusca, tornato libero tra mille polemiche alla fine dello scorso maggio. Non era stata invece impugnata l’assoluzione piena (“perché il fatto non sussiste”) per l’ex ministro Nicola Mancino.