Poliziotto si suicida in carcere, morte annunciata. Era in attesa del trasferimento
Ci aveva già provato, a togliersi la vita, l’assistente capo della polizia di Stato in custodia cautelare a Sollicciano con l’accusa di aver sparato a un gambiano alle Cascine: una volta a casa (lo aveva riferito lui al giudice) e altre volte in cella. Ci è riuscito ieri, nonostante una sorveglianza speciale. Ci è riuscito ieri, quando a Sollicciano c’erano i vertici d el Dap, la politica, il tribunale di sorveglianza a discutere del “senso di umanità” della giustizia.
Una beffa, insomma, che deve far riflettere sulle condizioni complessive ed individuali del carcere. Era quello il luogo più adatto per la misura a cui era sottoposto?
L’avvocato Marco Calabrese, suo legale, aveva fatto richiesta di trasferimento nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere. L’ok non era ancora arrivato. Anche il penitenziario aveva informato procura e gip della situazione psicologica del detenuto, 46 anni, padre separato, che per altro era comparso in udienza giusto giovedì mattina per l’incidente probatorio del procedimento in cui era indagato. “L’ho visto molto male”, commenta una persona che era presente. Poca voglia di commentare l’accaduto in questura. Il Siulp, il sindacato più rappresentato in polizia, per bocca del segretario Riccardo Ficozzi, si dice “rattristato per l’accaduto, esattamente come lo è ogni volta che un essere umano ricorre a gesti così estremi. Nel merito, però, non conoscendo i pregressi del collega, trasferito a Firenze solo in tempi recentissimi, né tantomeno i suoi trascorsi, ritiene inopportuno esprimere qualsivoglia considerazione in ordine alle motivazioni che, nel mese di maggio scorso, hanno indotto l’autorità giudiziaria a trarlo in arresto”.
La procura, intanto, ha disposto l’autopsia, che servirà a stabilire che il decesso sia avvenuto per via dell’impiccagione. Il poliziotto avrebbe usato le lenzuola presenti nella cameretta, che occupava da solo, per togliersi la vita. L’accertamento medico-legale viene disposto nell’ambito di un fascicolo aperto contro ignoti sulla base di un’ipotesi di omicidio colposo. E’ stata la polizia penitenziaria a trovarlo privo di vita, durante il giro delle celle del pomeriggio.
“Come sapete, abbiamo sempre detto che la morte di un detenuto è sempre una sconfitta per lo Stato”, commenta amareggiato Donato Capece, segretario generale del sindacato della penitenziaria Sappe. “Non so se l’uomo avrebbe potuto o meno, in quanto appartenente alle Forze dell’Ordine, chiedere di scontare la detenzione in un carcere militare e neppure se questo avrebbe impedito che si togliesse la vita. Certo è che mi sembrano essere questi i problemi reali penitenziari sui quali Autorità istituzionali e politiche dovrebbero porre attenzione piuttosto che pensare a qualsiasi ipotesi di cancellare l’ergastolo in Italia…”.
Il poliziotto, trasferito da Rimini a Firenze per questioni disciplinari, era indagato per l’episodio delle Cascine del 19 maggio scorso in cui, per motivi in corso di indagini da parte dei carabinieri, in una lite ferì un cittadino del Gambia con un coltello e poi sparò due colpi con la Beretta d’ordinanza, uno dei quali, secondo le accuse, alla figura di questa persona.
Venne denunciato per questo, ma lo stesso giorno i carabinieri lo arrestarono per resistenza, oltraggio e lesioni a pubblico ufficiale a causa delle pesanti intemperanze avute durante la perquisizione quando oltre a ostacolare le ispezioni rimase ferita una donna carabiniere. Il 46enne fu messo ai domiciliari, ma sue successive violazioni a questi obblighi, portarono il gip ad aggravare la misura con quella della carcerazione.