Poliziotto dispensato dal servizio perché indossava abiti femminili. I giudici “spettano arretrati”
Il ricorrente è un appartenente alla Polizia di Stato ed all’esito del procedimento disciplinare cui era stato sottoposto in relazione al comportamento tenuto fuori dall’orario di lavoro, consistente nell’indossare abiti femminili, ha proposto ricorso al TAR.
La Vicenda
A seguito di una lunga vicenda giudiziaria, il procedimento disciplinare fu riaperto e concluso con la revoca della sanzione inflitta. Nel contempo il ricorrente fu dispensato dal servizio per inabilità fisica, veniva, infatti, dichiarato affetto da un disturbo dell’identità di genere che, oltre a chiarire la condotta oggetto di censura, determinava la declaratoria di permanente non idoneità al servizio.
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L’amministrazione dichiarava dichiarava il ricorrente “Sì idoneo al servizio nei ruoli civili del Ministero dell’Interno o nelle altre Amministrazioni dello Stato […], in mansioni compatibili con la sua ridotta capacità lavorativa e la natura delle infermità sofferte”.
In seguito il ricorrente domandava la corresponsione degli emolumenti non percepiti a decorrere dalla sua destituzione. La richiesta veniva respinta dal Ministero con provvedimento dal momento che la resitutio in integrum sarebbe stata preclusa dagli “effetti novativi del rapporto di pubblico impiego dalla richiesta di transito nelle altre Amministrazioni dello Stato”.
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Le richieste del ricorrente
Il ricorrente ha chiesto l’accertamento del diritto alla ricostruzione economica della carriera, domandando la liquidazione degli “assegni non percepiti, escluse le indennità per servizi e funzioni di carattere speciale o per prestazioni di lavoro straordinario, salva la deduzione dell’eventuale assegno alimentare”, come previsto per il caso di proscioglimento dagli addebiti disciplinari dall’art. 122, comma 3 del d.P.R. n. 3 del 1957. A sostegno della domanda, ha evidenziato che il contestuale provvedimento di dispensa dal servizio – a seguito del quale egli è stato dichiarato idoneo al transito nei ruoli civili dell’Amministrazione – non pregiudicherebbe il diritto a conseguire il trattamento economico maturato medio tempore, ancorché la dispensa sia stata disposta ora per allora (in luogo della destituzione precedentemente comminata).
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La sentenza del TAR
I giudici hanno ritenuto il ricorso fondato.
Si deve premettere che, secondo il prevalente indirizzo giurisprudenziale, “il transito nei ruoli civili del personale non è assimilabile a una nuova assunzione, postulando, al contrario, la continuità del rapporto di impiego- di cui verrebbe mutato il titolo, secondo la tesi della novazione oggettiva- e ponendosi come una forma ordinaria, ancorché rimessa a un’opzione dell’interessato, di prosecuzione dello stesso (Cons. Stato, sez. II 20 maggio 2019 n. 3203, sez. V 23 giugno 2015 n. 3141, sez. IV 18 marzo 2009, n. 1598)” (Cons. St., Sez. II, n. 8136 del 2022).
Il passaggio nei ruoli civili non determina dunque una nuova assunzione, decorrendo i suoi effetti soltanto a partire dall’accoglimento della domanda di transito o, in caso di silenzio assenso, a partire dal decorso infruttuoso del termine di 150 giorni assegnato all’Amministrazione per determinarsi su di essa.
Si deve pertanto concludere che il proscioglimento del ricorrente produca, nel caso esaminato, tutti gli effetti economici espressamente stabiliti dalla disposizione richiamata, senza che possano assumere rilievo ostativo le conseguenze derivanti dalla contestuale dispensa dal servizio e dalla richiesta di transito nei ruoli civili dell’Amministrazione. Ai fini della restitutio in integrum, va infatti considerato l’intero arco temporale compreso tra la destituzione (ora revocata) e il perfezionamento della procedura di transito nei ruoli civili, essendo soltanto quest’ultima, e non il provvedimento di dispensa (ancorché retrodato), a poter a determinare – in caso di conclusione favorevole – il mutamento del titolo sottostante alla prosecuzione del rapporto di lavoro, ovvero la sua cessazione (ad es. per il rigetto dell’istanza di transito o per il collocamento in quiescenza dell’interessato).
I giudici hanno quindi intimato all’Amministrazione di provvedere alla ricostruzione ai soli fini economici della carriera del ricorrente e alla liquidazione in suo favore delle eventuali differenze retributive maturate in relazione alla qualifica con aggiornamento (anche agli effetti contributivi) della posizione previdenziale.
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