Pesta agente e si oppone al fotosegnalamento, il pm: “Non autorizzo alcun atto di violenza questa si chiama tortura!”
L’Ira della polizia per la liberazione del senegalese che ha pestato due agenti. Spunta il messaggio esasperato dell’agente che lo aveva fermato in un articolo di Giuseppe De Lorenzo per il Giornale.it.
C’è indignazione, rabbia, “senso di impotenza” tra le forze di polizia. Ormai nelle chat interne non si fa che parlare di quanto successo a Torino, quando un senegalese ha sbeffeggiato, pestato e insultato i poliziotti, lo Stato e Salvini.
È stato posto in arresto e poi subito liberato dal pm (con una semplice telefonata) perché contraria a costringerlo ad un fotosegnalamento coatto. La vicenda è stata descritta in un rapporto di servizio redatto dagli agenti e che ilGiornale.it ha rivelato in esclusiva. I dettagli hanno fatto infuriare gli appartenenti al corpo, esasperati dalla leggerezza con cui il procuratore ha ordinato “l’immediata liberazione” del soggetto che solo due settimane dopo (a Pasqua) avrebbe nuovamente aggredito due divise con una sbarra. Rischiando pure di ammazzarli.
La domanda sorge spontanea: ma che si affaticano a fare, i poliziotti, a catturare i malviventi se poi non rischiano neppure un paio d’ore di fresco? Quesito lecito, che in queste ore molti agenti si stanno ponendo. Tanto che il capopattuglia che lo scorso 29 marzo ha “arrestato il senegalese” ha deciso di “descrivere il resto dei fatti” di questa “vergognosa vicenda”.
Riassumiamo i fatti. Il 29 marzo la polizia viene chiamata per intervenire in un edificio privato occupato da Ndiaye Migui, stabilitosi tranquillo in una baracca di fortuna. Il soggetto è senza fissa dimora né documenti e viene portato in Questura per “la mera identificazione”. “Pur capendo perfettamente l’italiano – scrive il capopattuglia – il senegalese si rifiutava categoricamente di declinare le proprie generalità mettendo in atto un susseguirsi di insulti contro Salvini, la polizia e il sottoscritto” (“Vaf… Italia, dovete morire tutti”). Gli agenti provano a convincerlo “con tutta la gentilezza di questo mondo“, ma non ci riescono. “L’egregio senegalese“, infatti, “all’atto del fotosegnalamento” decide di opporsi al rilievo delle impronte “sbeffeggiando divertito” le forze dell’ordine. “Il tutto – si legge nell’sms (e confermato dal verbale) – irrigidendo le braccia e ritirando il palmo delle mani vicino al corpo“.
In poche ore l’immigrato si macchia di un paio di reati. I poliziotti provano di nuovo (e inutilmente) a persuaderlo. Il senegalese si alza dalla sedia, prova a scappare e, “bloccato per un braccio dal mio autista“, reagisce “stampandogli una manata in faccia“. Per lui scattano le manette, per l’agente 8 punti di sutura. Come da protocollo, la Questura telefona al pm di turno per “notiziarla tempestivamente dell’arresto“. Sono le 17.47. La toga dà il “nulla osta”, ma precisa che “non avrebbe adottato alcuna misura nei confronti” se non fosse emerso dai rilievi Afis (impronte) un qualche “precedente specifico“. Il motivo? “Il pm – spiega il capopattuglia – riteneva di lievissima entità i fatti“. “Lievissima”.
C’è un problema: per verificare se il senegalese ha precedenti (e sbatterlo in cella) occorre il fotosegnalamento, impossibile però da realizzare a causa delle opposizioni. Come uscirne? La Questura telefona di nuovo al magistrato presentando le difficoltà nel risalire all’identità del senegalese. “Il pm – si legge nell’sms – rispondeva: ‘Non mi importa quanto tempo ci mettiate, provate a convincerlo a farsi fotosegnalare finché non cederà alle vostre richieste“.
Seconda domanda: ma perché gli agenti dovrebbero pregare in ginocchio chi poco prima li ha pestati? Anche questo, quesito lecito. E infatti i poliziotti chiedono al pm di poter procedere con il fotosegnalamento coatto. Ed ecco la risposta della toga, secondo quanto riporta il capopattuglia: “Non autorizzo alcun atto di violenza e contrario alla volontà di questa persona, questa si chiama tortura“.
Gli agenti sono “allibiti e perplessi” dal “totale menefreghismo del pm“. Ma soprattutto restano “allibiti” quando “a conclusione della telefonata disponeva l’immediata liberazione del soggetto“. E questo nonostante l’immigrato fosse “persona ignota” senza identità o profilo giuridico delineato. Il capopattuglia, nel suo messaggio, si sfoga e definisce il comportamento del magistrato un “abuso”. Parola forte, ma forse comprensibile: “Il risultato sono stati 8 punti di sutura al collega che stava facendo il suo lavoro in un giorno di festa“.
Ps: venti giorni dopo lo stesso immigrato ha ripetuto l’impresa, aggredendo due agenti. Fatto che forse si sarebbe potuto evitare se il procuratore avesse disposto il fotosegnalamento coatto. Dai rilievi Afis sarebbero infatti emersi due provvedimenti di espulsione mai eseguiti e l’arresto di Ndiaye Migui sarebbe stato confermato. “In procura ora sono molto incazzati”, fanno sapere fonti delle forze dell’ordine. “Perché con questa storia hanno fatto una brutta figura”.