Editoriale

Perché l’Aerospazio. Osservazioni strategiche e geoeconomiche

Perché parlare oggi di spazio? Perché investire nell’aerospazio? Perché è lì che si gioca — silenziosamente ma inesorabilmente — la prossima grande sfida strategica globale. In un intreccio sempre più fitto tra innovazione tecnologica, potere militare e sviluppo economico, lo Spazio non è più solo la frontiera dell’esplorazione: è il nuovo terreno di confronto tra nazioni, industrie, e civiltà. In queste pagine, il prof. Giancarlo Elia Valori ci guida con lucidità in un viaggio tra economia, sicurezza e geopolitica spaziale, offrendo chiavi di lettura originali e urgenti su un tema che riguarda tutti. Ora più che mai.

di GIANCARLO ELIA VALORI

Honorable de l’Académie des Sciences de l’Institut de France

Honorary Professor at the Peking University

Perché scrivere oggi , perché parlare di investire nel settore spaziale? Perché è un’area di intervento che presenta le seguenti caratteristiche strutturali: a) è una combinazione complessa di tecnologie, come a suo tempo l’auto e, al suo inizio, il computer portatile, b) perché presenta una vasta possibilità di applicazioni multiple alle altre tecnologie “mature” non spaziali, c) perché infine rende ottimale la combinazione di investimenti pubblici e privati, come è avvenuto per tutti gli altri investimenti in tecnologia che hanno modificato l’intero sistema produttivo, perché infine d) garantisce la sicurezza delle tecnologie e, quindi degli investimenti, che vengono “coperti” agli occhi della concorrenza, per motivi militari o di sicurezza.

Per le tecnologie “mature”, questo non è possibile1.

La questione, appunto, della militarizzazione dello spazio è essenziale per comprendere anche la applicabilità delle nuove tecnologie aerospazio alla produzione non-militare.

L’ONU, nella sua Assemblea Generale, ha approvato, nel 2001, una Convenzione “Per la prevenzione di una corsa alle armi nello Spazio”, siglata da tutti i maggiori Paesi interessati alle tecnologie dello Spazio.

Ma, anche qui, esiste una contraddizione logica tra la non-militarizzazione dello Spazio e la sicurezza delle tecnologie, che devono essere coperte dalla concorrenza internazionale per produrre, in un tempo opportuno di applicazione, ritorni economici sufficientemente interessanti2.

Inoltre, esiste una concezione che, anch’essa, potrebbe dirsi economica, sia pure in senso lato: se uno Stato o una Alleanza acquisisce un “edge” competitivo in un sistema d’arma, acquisisce anche il massimo di deterrenza con un costo minimo.

La concorrenza tra sistema d’arma diminuisce la loro efficacia e ne aumenta i costi strutturali, limitandone inoltre i cicli di applicazione alla produzione civile, nella quale possono inserirsi i suoi competitori globali.

E’ una applicazione, questa, delle tesi di Michael Porter sul “margine di competitività globale”3.

Quindi, non meraviglia affatto che lo Spazio sia il luogo di una competizione che, oltre ad essere economica ed applicativa, è sempre di più a carattere militare.

Basti pensare, per esempio, alle tecnologie laser di contrasto per i sistemi missilistici avversari e le tecniche evolute di jamming elettronico e di deformazione dei messaggi che possono essere dirette dallo Spazio verso terra o, più semplicemente, tra armi spaziali tra di loro4.

I cinesi hanno già affermato, nei loro modelli teorici e strategici, la assoluta importanza della guerra elettronica dallo Spazio e, quindi, della incapacitazione del nemico tramite l’abolizione delle sue reti di comunicazione strategica e tattica5.

E’ la riedizione, in tempi moderni, del concetto di Sun Tzu secondo il quale, nella migliore tradizione dello Zen cinese, la vittoria si delinea nella costrizione del nemico a muoversi.

L’applicazione strategica del concetto esoterico buddista del wu wei, “muovere senza muovere”.

Quindi, tanto più l’economia spaziale diverrà centrale nella definizione dei prossimi modelli di sviluppo globalizzato, uno sviluppo tecnologico-produttivo al quale parteciperanno, per la prima volta nella storia dell’umanità, molti popoli non-europei e non-occidentali, tanto più dovremo aspettarci una “guerra spaziale”, magari gestita con il criterio della guerra fredda, ovvero uno scontro che non arriva mai al clash finale, ma lo rende comunque credibile e probabile6.

Ma vediamo come e cosa può diventare il mercato scientifico e tecnologico dello Spazio.

Secondo una previsione britannica, il ritorno degli investimenti nello Spazio dovrebbe aumentare nel 2007 fino a140 miliardi di USD7, con una differenziazione di servivi in questo modo: sevizi direct-to home internazionale, 32%, Radio 6%, Satelliti fissi 18%, satelliti mobili 3%, direct-to home negli USA 32%.

Il totale degli investimenti dovrebbe essere di 60 miliardi di USD8.

Quindi, per prima cosa le telecomunicazioni, non a caso l’ossatura dei sistemi d’arma attuali e soprattutto prossimi venturi.

L’ESA, l’Agenzia Spaziale Europea, della quale l’Italia naturalmente fa parte, ha elaborato una linea di sviluppo fino al 2010 nella quale vengono ottimizzate, per il settore delle comunicazioni, la dimensione del carico utile del satellite, l’applicazione della tecnologia Ku-Band, di origine militare, alle reti civili, e lo sviluppo delle reti fisse per quanto riguarda l’osservazione della Terra, per finalità econologiche, agricole e di gestione del traffico terrestre9.

Ovvero, si tende qui a rendere sostenibile l’investimento nell’aerospazio per ottimizzare le reti di comunicazione, secondo il modello classico della “società del terziario” o dei “servizi” elaborato alla metà degli anni ’8010.

Ma siamo sicuri che oggi la “informatizzazione” e la materializzazione della società e dei sistemi produttivi siano ancora un modello capace di spiegare il mondo e, soprattutto, di prevederlo e modificarlo, secondo la vecchia idea di Karl Marx delle idee che “trasformano”, più che riflettere la realtà?

Le tecnologie dell’aerospazio oggi non sono così univoche nel dimensionarsi sul modello della “terza ondata”.

Pensiamo, infatti, alla biologia e agli esperimenti farmacologici e terapeutici, o alla produzione in assenza di gravità di nuovi materiali.

Insomma, la Grande Trasformazione ipotizzata, per il vecchio capitalismo industriale da Karl Polanyi, oggi non è solo della comunicazione, ovvero dell’ innovazione di processo, ma anche e soprattutto della vecchia, tradizionale innovazione di prodotto.

La NASA statunitense ha portato nello spazio, con uno Shuttle Columbia, due fiori ceduti dalla International Flavour & Fragrances Inc., per vedere se l’assenza di gravità avrebbe modificato i loro odori per produrre nuove essenze.

I russi hanno siglato un contratto con il produttore televisivo statunitense Burnett per organizzare un “reality show” nello spazio.

Insomma, la quantità di tecnologie innovative non-comuncazione gemerate nello spazio sta aumentando, sulla base dei calcoli di chi scrive, del 36% all’anno per gli investimenti pubblici e, come si può vedere, privati11.

Quindi, nulla vieta che, nell’ambito di una futura utilizzazione dello spazio anche di tipo militare, queste tecnologie e i nuovi materiali siano adoperati in un possibile scontro multilaterale per la gestione dello spazio.

E’ vero che, per usare un luogo comune e una assoluta ovvietà, lo “spazio è immenso”, ma sono le orbite più vicine alla Terra quelle di maggiore utilità sia tecnologica, sia per le telecomunicazioni che naturalmente per finalità militari, quindi il controllomilitare e di sicurezza di queste orbite permetterà l’ottimizzazione degli investimenti pubblici e privati nell’aerospazio, sia civile che militare.

Anche qui, per parafrasare Von Clausewitz, avremo a che fare con una guerra fredda con altri mezzi.

Intanto, la spesa per la difesa e la sicurezza permette l’esclusività delle tecnologie, che non possono essere copiate e “clonate”, garantendo quindi la programmabilità dei ritorni economici previsti.

Poi, la sicurezza-difesa produce il massimo di innovazione, perché è obbligata a trovare il “gap competitivo” o strategico da sfruttare per il massimo del tempo contro il nemico potenziale.

Infine, l’investimento spaziale nell’area sicurezza-difesa permette la riservatezza delle applicazioni civili, quando sarà il momento.

Ma, per quanto riguarda l’aerospazio, c’è di più: la possibilità di controllo dall’alto per vaste aree della Terra permette una trasformazione strategica epocale: il massimo della deterrenza unito al massimo della potenza del colpo di ritorno.

Altro che strategia atomica, quando si trattava, da Beaufre a Paul Nitze, di infliggere il massimo danno che portasse l’avversario a rendere impossibile una risposta e quindi costringerlo al classico unconditional surrender.

Lo sviluppo dello spazio militare permette l’immediata cancellazione delle difese e la completa cecità alle successive salve di attacco, nucleare o convenzionale.

La nuova Strategia Globale dello spazio consente la fusione della strategia diretta con quella indiretta, perché le strutture comunicative, politiche, culturali, sociali, produttive vengono annichilite con la stessa serie di salve dallo Spazio che annullano le difese e il potenziale di risposta dello stato-obiettivo12.

E allora la domanda che si pone è questa: come evitare la ricaduta strategica della “corsa allo Spazio” e utilizzare dell’Aerospazio e delle sue tecnologie innovative, solo quello che può garantire lo sviluppo pacifico, partecipato, ottimale?

La questione è più difficile di quanto sembri. In effetti, gran parte dell’interesse dell’investitore pubblico è militare, dato che la “weaponization” dello Spazio permette, con ricadute civili ben programmate, un sistema d’arma come quello atomico della guerra fredda, ovvero un alto potenziale di strike vincente, una assoluta brevità delle azioni militari, il massimo del successo.

Poi, le tecniche utilizzate negli anni ’70 per costringere gran parte dei Paesi ad abbandonare l’arma atomica con il Trattato di Non Proliferazione, si sono rivelate di scarsa efficacia.

Sul piano militare, ormai i Paesi cosiddetti “terzi” hanno tutti la possibilità, reale o a breve termine, di produrre armi atomiche.

Le armi “non si disinventano”, come affermava anni fa il Generale Carlo Jean.

E poi, credere che basti la firma su una serie di fogli di carta per obbligare uno Stato a trasformare la propria strategia nazionale o, magari, ad accettare gride manzoniane contro i propri vicini che invece sono passati all’atomo militare, risulta una credenza di assoluta ingenuità.

Non ci sono Trattati che possano inibire ad uno stato di raggiungere quello che ritiene essere il proprio interesse nazionale, vale anche per il diritto internazionale il detto di Machiavelli cum le parole non si governano li Stati.

A credere alla forza dei trattati, si corre il rischio di essere iscritti, secondo la formula brutale del Guicciardini, nel libro dei bischeri.

Infine, la fine ormai ingloriosa del Trattato di Non Proliferazione dovrebbe farci evitare di ripetere la strada, per la militarizzazione dello Spazio, delle suddette grida manzoniane.

Vediamo le altre ipotesi: a) una assoluta copertura delle tecnologie di difesa-spazio, che lasci i competitori di questa nuova guerra fredda nel dubbio di quale sia la tecnologia e la dottrina realmente usate. Difficile, ma si può tentare di farlo.

Oppure, si può spingere, nel quadro di una alleanza chiara e strategica, non semplicemente di una assemblea di hegeliane “anime belle”, di fare un efficace sharing di tecnologie spazilai, anche di uso duale militare-civile, nell’ambito di una dottrina di difesa condivisa.

Naturalmente, questo comporta un pensiero strategico e soprattutto una seria individuazione del nemico, senza la quale non esiste strategia né tattica.

Per esempio, si potrebbe pensare ad una alleanza Federazione Russa-Europa-USA contro lo sviluppo strategico e militare dell’implesso Cina-India, che renderebbe obsolete rapidamente molte tecnologie e godrebbe di una “finestra di sviluppo” molto lunga prima dell’adeguamento dei salari e dei prezzi agli standard euro-americani13.

Oppure ad una commistione di risultati efficace in termini di costo-efficienza (nel senso che costerebbe di più, ad uno Stato qualsiasi, fare guerra spaziale per averli in proprio) che possa stabilizzare la stessa Cina, che potrebbe sviluppare le sue tecnologie spaziali dual-use anche in funzione di un accordo globale con l’Europa e gli USA per rendere sicura l’espansione commerciale occidentale nell’Asia centrale e meridionale.

Si tratterebbe, a questo punto, di trovare l’equilibrio tra le tecnologie dell’Ovest e quelle dell’Est, ma soprattutto occorrerebbe verificare sei nostri programmi di sviluppo a lungo termine prevedono una espansione delle linee commerciali europee verso l’Asia, il che renderebbe questa strategia globale del tutto ragionevole.

Se invece la Cina e l’India volessero gestire da sole il loro “estero vicino” sarebbe maggiormente utile la strategia n.1, quella dell’alleanza sulla militarizzazione dello Spazio tra USA, UE e Federazione Russa.

Insomma, si tratta di sapere e decidere dove vogliamo andare, e su questo modellare le nostre strategie di sicurezza e di guerra spaziale, senza sperare che le altre aree del Pianeta ci faranno la grazia di stare ferme.

Anzi.

Per quello che si può prevedere, suppongo che si possa definire una serie di regole di carattere commerciale e finanziario, più che giuridico, per le tecnologie spaziali “dual-use”, sulla base dell’ottima esperienza del COCOM della NATO durante tutta la guerra fredda.

Da qui, impostare una divisione del lavoro tecnologico spaziale mondiale: inutile investire dove altri hanno fatto prima e meglio, meglio definire regole di sharing (con i relativi e concorrenziali prezzi) per comprare fuori quello che è inutile elaborare all’interno, e magari rivendere sul mercato-mondo quelle tecnologie nelle quali un Paese o una Alleanza tecnologica si sono rivelate imbattibili.

Si pensi, in questo caso, alle tecnologie per la chimica dei propellenti, che l’Italia ha elaborato con un forte tasso di innovazione in questi ultimi anni.

Se questo mercato-mondo diviene ottimale, allora sarà la forza stessa delle cose a evitare la costituzione di tecnologie nazionali complete per la militarizzazione dello Spazio. L’economia globale potrebbe divenire la machiavellica realtà effettuale della cosa.

Intanto, è assolutamente necessario investire nell’aerospazio, soprattutto in Italia, per acquisire quel “margine competitivo” nelle tecnologie di punta, che hanno spesso derivazione militare e spaziale, e che potrà permetterci di avere ancora: a) un sistema produttivo fortemente differenziato, b) un margine di produttività elevato e comunque competitivo rispetto ai nostri competitori globali.

Comprimere il costo della manodopera è una strategia limitata e comunque ciò si scontra con un cosato della vita e quindi con un monte salari alla fine anelastico. Minore il salario, peggiore la produttività per unità di prodotto.

Allora, investire subito iin tecnologie evolute dell’aerospazio, da dove verranno i prossimi “cluster” tecnologici che definiranno chi vince e chi perde nella divisione mondiale del lavoro.

In conclusione, sia pur brevemente, ho cercato di delineare in questo volume tematiche che sono fortemente connesse con un fronte del tutto complesso di sviluppi: nel settore tecnologico, militare ed economico.

Ma soprattutto, in quel settore dove le realizzazioni della scienza producono trasformazioni profonde nella vita degli individui, modificando a loro volta le società. Questo il dovere di coloro che, nella scienza, nella politica, nell’imprenditoria, hanno il compito di interrogarsi sul futuro come sfida di sviluppo e come occasione di opportunità.

1 V. Arms Control, Militarization of outer space, in www.globalissues.org, visitato il 12 Giugno 2006

2 V. NBER, Business Cycles Indicators, NBER, University of Chicago, Chicago 2001

3 V. Michael Porter, Harvard University, Institute for Strategy and Competitiveness, On Competition, Harvard Unipress, 2002

4 Lt. Col. Bruce M. Deblois, USAF, Space Sanctuary, a Viable National Strategy, Aerospace Power Journal, Winter 1998.

5 V. defenselink.org, Report to Congress, Washington D.C., January 2005

6 V. The National Security Archive, The Master of the Game, Paul Nitze and US Cold War strategy, from Truman to Reagan, Washington D.C., October 2004

7 UK STRATEGY 2003-2006 AND BEYOND, British Government, 2004

8 State of the Space industry, 2004, International Space Business Council, March 2004

9 BR-256, October 2005, ESA, the Telecommunications Long term plan 2006-2010, Noordwijk, Holland, 2005

10 Alvin Toffler, The Third Wave, Bantam Books, 1984

11 Commercial Alert, Nasa shifts strategy for Selling outer space, Washington Post, Ariana Eunjung Cha, March 2005

12 Stephen M. Younger, Nuclear Weapons in the Twenty-First Century, Los Alamos National Laboratory, 27 Giugno 2000

13 V la rivista HEARTHLAND, il numero intitolato The atomic Rush, n. 1 2006

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