Editoriale

Operazione “Mare Sicuro”: il volto nascosto di un Corpo sotto pressione

(di Donato Angelini)

Puntuale come ogni anno, l’operazione Mare Sicuro, messa in campo dal Corpo delle Capitanerie di Porto – Guardia Costiera, torna a presidiare le coste italiane per garantire la sicurezza delle attività balneari. Un’iniziativa consolidata, che però continua a mostrare fragilità strutturali che meriterebbero maggiore attenzione.

La prima questione da porsi è semplice: com’è possibile che un’operazione pianificata da anni sia ancora caratterizzata da approssimazioni organizzative e soluzioni al ribasso?

La realtà, purtroppo, è ben diversa dalle aspettative di chi guida dal centro. I comandi periferici, pur essendo chiamati a garantire l’efficienza operativa, devono spesso fare i conti con due problemi ormai cronici: la carenza di organico e l’innalzamento dell’età media del personale. Emblematico, in questo senso, è l’innalzamento del limite anagrafico per il personale impiegabile in Mare Sicuro, portato fino a 50 anni, segno evidente della difficoltà a costituire squadre complete con risorse giovani e adeguatamente formate.

Ma c’è un altro aspetto – più simbolico ma non meno importante – che racconta molto dello stato attuale della macchina organizzativa: l’“operazione Arlecchino”. Potremmo definire così, con un pizzico di amara ironia, la gestione delle divise operative: mentre il vestiario ufficiale per questo tipo di attività viene fornito solo al personale non in servizio permanente, gli altri militari impiegati si trovano costretti ad arrangiarsi, recuperando vecchie uniformi, acquistando articoli simili o utilizzando soluzioni di fortuna.

Il risultato? Un patchwork di colori e fogge, con polo diverse per taglio e tessuto, pantaloncini che vanno dal blu navy al celeste slavato, berretti che scoloriscono al sole. Una variabilità che non solo crea confusione visiva, ma mina l’immagine di coesione e autorevolezza di un Corpo militare.

E qui nasce un dubbio più profondo: se l’uniforme – simbolo di identità e disciplina – è trattata con tanta approssimazione, come viene gestito il resto? Ci si interroga, a ragione, sulla corretta redazione dei documenti di valutazione del rischio, sull’effettiva fornitura di DPI (Dispositivi di Protezione Individuale), sulla formazione e tutela del personale impiegato nelle attività di sorveglianza e salvataggio.

Chi conosce e ama la Guardia Costiera – una delle istituzioni più apprezzate dai cittadini – sa che il prestigio non basta: servono risorse, attenzione, ascolto e trasparenza. Celebrarne i successi è giusto, ma non può diventare il pretesto per ignorarne le criticità. La credibilità si costruisce anche – e soprattutto – attraverso la capacità di riconoscere i problemi e affrontarli con serietà.

Un occhio attento sa distinguere le crepe sotto i ritocchi. Ed è proprio lì che occorre intervenire: per restituire dignità, efficienza e sicurezza a chi ogni giorno presidia le nostre coste.

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