Non solo Ucraina: in Italia arrivano ancora afghani e siriani, spesso rischiando la vita
Con i riflettori puntati sull’invasione russa in Ucraina, si tende a dimenticare che i profughi in fuga dalla guerra civile in Siria e dal ritorno dei talebani in Afghanistan continuano a cercare riparo, anche da noi. Per loro, però, i corridoi per entrare legalmente in Italia sono rari o del tutto inesistenti. E anche una volta arrivati, richiedere asilo e integrarsi è estremamente complicato. Abbiamo raccolto due storie di migranti che sono riusciti a raggiungere Milano viaggiando in condizioni pietose, mettendo a rischio la propria vita.
Un minorenne nascosto nel vano motore di un camion e una fuga dall’Afghanistan durata quasi un anno. Un padre che lascia la famiglia in Siria per aprire loro la strada a un futuro sereno, ma che per rivederli deve abbandonare anche l’Italia e proseguire verso il Nord Europa. Abbiamo parlato con Fausta Omodeo, di Rete Milano, una piccola associazione di volontariato che da anni si occupa dei migranti in transito nel capoluogo lombardo. È stata lei a raccontarci le storie di Liaqat e Ahmad.
Liaqat, 16 anni, da Bari a Milano sotto un camion merci
Liaqat ha 16 anni, nell’agosto dello scorso anno è scappato come altre migliaia di persone da Kabul quando la capitale afghana è stata assediata dai talebani. Ha attraversato Turchia e Grecia, e da Igoumenitsa si è imbarcato su una nave diretta a Bari nascondendosi sotto un camion merci. Non dentro il retro del veicolo ma aggrappato al vano motore. “Quando l’ho incontrato due giorni fa in stazione era completamente coperto di polvere nera, sembrava uno spazzacamino, indossava peraltro vestiti pesantissimi rispetto alle temperature di questi giorni in Italia”, racconta ad upday Fausta Omodeo.
Ahmad, dalla Siria in Olanda passando dall’Italia
Anche Ahmad, siriano, ha viaggiato sotto il vano motore di un tir. Si è addirittura scattato un selfie per mostrare le condizioni in cui è stato costretto a viaggiare. “Era arrivato da Bari e si presentava in condizioni pietose: ci sembrava tonto, in realtà ero solo stordito dal lungo viaggio”, racconta Omodeo. Ahmad ha lasciato in Siria la moglie e i due figli e, dopo aver attraversato l’Italia, ha raggiunto l’Olanda. “Non sapevamo come avrebbe fatto, senza conoscere una parola d’inglese. Lì però è riuscito, dopo un anno e mezzo, a ottenere lo status di rifugiato e a ricongiungersi con la famiglia“. La moglie e le bambine sono arrivate nei Paesi Bassi con un volo di linea. In Italia non era stato impossibile.
Rete Milano: “Molti vogliono andare fuori dall’Italia”
Le storie di Liaqat e di Ahmad sono solo due esempi delle migliaia di storie di persone in fuga dalla guerra che riscontrano difficoltà nel trovare una sistemazione nel nostro Paese. “In realtà la maggior parte di loro vuole andare via dall’Italia: preferiscono mete come la Germania“, aggiunge Omodeo. A Milano, una direttiva del Comune indica che i profughi minorenni debbano essere affidati alle forze dell’ordine. “Ma i ragazzi le temono perché, nel corso dei loro viaggi della speranza, hanno subito torture e vessazioni da parte dei poliziotti in diversi Paesi”. I racconti peggiori in questo senso, dice Omodeo, arrivano dalla Croazia, ma il risultato è che i giovani profughi cercano di sfuggire a qualunque divisa. A correre in aiuto dei minorenni che vagano per la città senza un tetto restano quindi le associazioni del terzo settore e le famiglie che si rendono disponibili.
Il dramma delle famiglie che compiono il “game”
Il “game” (gioco) è il difficile attraversamento dei Balcani, frammentato in diverse frontiere e disseminato di difficoltà per chi non le attraversa per turismo, Sono gli stessi profughi a chiamarlo così, raccontando di situazioni al limite e condizioni disumane. C’è il caso di una famiglia composto dai due genitori e da due figli piccoli, rispettivamente di tre e cinque anni, che sono arrivati in Italia attraverso la rotta balcanica, prosegue la volontaria di Rete Milano. “Noi li abbiamo aiutati in un primo momento. Mio marito ha voluto offrire ai bambini una tavoletta di cioccolata: la bambina lo ha rifiutato. La madre, con il supporto del traduttore, ci ha raccontato che quando hanno fatto il ‘game’ e sono rimasti nascosti nella foresta croata, pane e cioccolato ha rappresentato la loro unica dieta per dieci giorni”. Una vicenda simile, emblematica dello stress fisico e mentale a cui sono sottoposti i profughi siriani o afghani, riguarda un altro ragazzo partito dalla Siria. “Viaggia senza moglie, ma con due figli piccolissimi. Ha superato il ‘game’ ed è arrivato a Milano. Ho offerto loro un piatto di ravioli con i pomodori. Il bambino, di fronte al piatto, è scoppiato in lacrime e ha esclamato ‘No more ketchup’ (bastaketchup, ndt)”. Stanco, anche lui, di quel condimento che ha segnato i giorni più duri del viaggio della speranza.e che era stato per il papà e i bambini l’unica fonte di condimento del pane. Il padre è ora in Germania: lì ha chiesto asilo ma non l’ha ancora ottenuto. “Tutti hanno una voglia disperata di una vita normale”, aggiunge Omodeo.
I numeri dei profughi afghani e il sommerso
Lo scorso febbraio il ministero dell’Interno contava 4.890 persone arrivate con il ponte aereo da Kabul: di queste 3.671 si trovano nelle strutture di accoglienza italiane. Si tratta di strutture temporanee dove ricevono vitto e alloggio, ma non entrano in dinamiche di integrazione, processi lavorativi e inserimento nella società. E poi, come testimoniano le storie raccolte dalle associazioni, c’è tutto il sommerso di chi arriva in Italia per vie traverse. Anche viaggiando da Sud a Nord nascosto sotto un camion.