Ministro della Difesa, nuovo decreto missioni a gennaio: “Rimodulare presenza militari”. Ecco le nuove aeree
C’è una domanda forte per collaborare ai processi di stabilità nelle aree di crisi (Mediterraneo, Medio Oriente, Balcani occidentali, Afghanistan) che viene dalla comunità internazionale ed è diretta all’Unione europea. Domanda che si rivolge in particolare all’Italia per il suo particolare “modello operativo” e le diverse capacità maturate negli anni come Paese leader in molte missioni internazionali: attualmente primo collaboratore di forze tra tutti i Paesi Ue nella coalizione anti-Isis in Iraq, con circa mille uomini e capo del contingente Onu in Libano che vede la presenza di 42 Paesi.
Nasce da qui la riflessione in corso nel Governo su come rimodulare al meglio le nostre missioni internazionali (34 in 24 Paesi dove sono attualmente presenti 5.600 uomini) . Una presenza indispensabile fuori dai confini nazionali per controllare i fenomeni che vanno dal terrorismo fondamentalista ai flussi migratori come il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, richiamerà tra qualche giorno anche nel corso del discorso di fine anno.
Il nuovo decreto missioni
Ormai rientra nelle perplessità sugli eccessivi costi delle operazioni militari all’estero, manifesta il tempo dai 5 Stelle, il nuovo decreto missioni che verrà approvato in gennaio prevede alcune novità . Questo almeno è quanto è stato annunciato dal ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, nei giorni scorsi in visita per gli auguri di Natale insieme al capo dello Stato Maggiore della Difesa, generale Enzo Vecciarelli, al contingente italiano dell’operazione “Prima Parthica ”, a Erbil nel Kurdistan iracheno.
«Stiamo ragionando, all’interno del Governo – ha detto Guerini – su come modulare al meglio la nostra presenza all’estero con il nuovo decreto missioni di gennaio; non è previsto nessun taglio ma semmai la presenza in aree nuove come il Sahel ». Guerini non ha nascosto le preoccupazioni per la situazione in Iraq e per i continui incidenti durante le manifestazioni anche se «l’attenzione maggiore riguarda sempre l’Isis che, seppure sconfitto militarmente – ha aggiunto Guerini – descrive un elemento di forte minaccia per possibilità azioni terroristiche come quella che ha colpito gravemente, oltre un mese fa, cinque nostri militari a Kirkuk ».
Un saluto di Natale che il capo di Stato Maggiore ha poi proseguito presso la Task force logistica di al-Minhad negli Emirati, la Taa (Train Advise Assist Command West) della Nato a Herat in Afghanistan, all’Unifil di Shama in Libano e alla K-For di Pristina in Kosovo. Vecciarelli ha ringraziato i militari per la competenza e l’impegno con cui svolgono il loro lavoro in teatri difficili, anche in periodi di festa ricevendo l’apprezzamento degli altri Paesi e delle comunità locali.
Un impegno del personale militare, ha spiegato Vecciarelli, che il Governo guarda con attenzione: come testimonia l’ultimo provvedimento per il riordino delle carriere che «rappresenta un primo passo sia pure in una situazione di scarse risorse finanziarie nel bilancio pubblico». Ma nel suo strumento di difesa, ha osservato Vecciarelli, «l’Italia deve sapere che non ha solo un costo di 20 miliardi di euro ma un grande tesoro da salvaguardare per la sicurezza di tutto il Paese».
La presenza in Iraq
In Iraq è dal 2014 che l’Italia contribuisce al processo di stabilizzazione. Nell’ambito della missione internazionale “Inherent Resolve” fornisce personale ai comandi multinazionali siti in Kuwait e Iraq e assetti e capacità di training per le forze di sicurezza irachene nel Kurdistan. La Police Task Force Iraq ha addestrato finora 60mila tra militari curdi e iracheni. L’Italia contribuisce anche con 11,8 milioni di euro al fondo Undp per la stabilizzazione immediata dell’Iraq e svolge un’azione a favore degli sfollati interni e a tutela delle minoranze religiose anche attraverso interventi della cooperazione allo sviluppo per circa 300 milioni di euro. Dal 2005 a oggi l’impegno effettivo della Cooperazione Italiana in Iraq ammonta, tra doni e crediti d’aiuto, a circa 300 milioni.
L’impegno in Afghanistan
In Afghanistan dalla missione Nato Isaf si è passati alla missione di training e assistenza Resolute Support. Complessivamente tra Herat e Kabul sono presenti nel Paese 800 uomini (contro i 3mila di quindici anni fa). Un impegno di spesa di circa 120 milioni di euro l’anno stanziati in un capitolo ad hoc da parte della Farnesina. Il comandante della Taac di Herat è il generale Enrico Barduani, responsabile delle operazione di supporto alle forze armate afghane nelle province di Herat Bagghis, Ghior e Farah.
Unifil in Libano
All’Unifil in Libano (1.100 italiani su un totale di 10.500) la coalizione delle Nazioni Unite è guidata dal generale Stefano Del Col. L’Italia è il secondo Paese contributore della missione dopo l’Indonesia, e il primo tra i Paesi occidentali. Unifil deve monitorare la cessazione delle ostilità tra Libano e Israele, e sostenere il dispiegamento delle Forze armate libanesi (LAF) nel Sud del Paese, fornendo loro assistenza nella stabilizzazione delle aree di confine, per garantire il rispetto della Blue Line (il confine israelo-libanese, non ufficialmente demarcato, che corrisponde alla linea del cessate-il-fuoco provvisorio tra Israele e Libano dal 2000) e il mantenimento di un’area cuscinetto libera da personale armato, assetti e armamenti che non siano quelli del Governo libanese e di Unifil.
Il contingente in Kosovo
Anche in Kosovo la presenza italiana si è notevolmente ridotta nel corso del tempo, e oggi è di 570 uomini a Pristina a Camp Film sotto la guida dal novembre scorso del generale Michele Risi. Kfor ha il compito di garantire la sicurezza; attuare l’accordo tecnico militare con la Serbia; ristabilire le condizioni ambientali per il ritorno dei profughi e dei rifugiati; garantire le condizioni che permettano di trasferire alla Missione civile internazionale e alle istituzioni kosovare la responsabilità per la tutela dell’ordine e della sicurezza. Tra i suoi compiti vi è anche quello di protezione dei siti religiosi e culturali serbo-ortodossi quali il Patriarcato di Pec e il Monastero di Visoki Decani.
Redazione a cura Il Sole24ore