Marina Militare, prescritta violenza sessuale: sottufficiale sospeso per 6 mesi. I giudici confermano il provvedimento
Il Tar della Liguria ha confermato il provvedimento disciplinare di sospensione dal servizio di sei mesi inflitto ad sottufficiale della Marina Militare con sede a La Spezia. Il ricorso presentato da quest’ultimo è stato respinto in quanto ritenuto fondato il provvedimento preso nei suoi confronti, considerati gli abusi e le violenze sessuali che avrebbe commesso ripetutamente nei confronti di una donna
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Il Ricorso
Un sottufficiale della Marina Militare ha impugnato il decreto della Direzione Generale per il personale Militare, con cui è stata disposta la sua sospensione disciplinare dall’impiego per mesi sei. In particolare, il ricorrente è stato sottoposto al procedimento penale per rispondere dell’imputazione di cui agli artt. 81, 609 bis e 609 ter, comma 1 n.1) e comma 2, c.p., perché, secondo l’ipotesi accusatoria, avrebbe costretto in più occasioni una donna, a compiere e subire atti sessuali, abusando delle condizioni di inferiorità fisica e psichica della stessa.
All’esito di tale processo, il Tribunale Penale ha dichiarato il non doversi procedere nei suoi confronti, in relazione ai fatti contestati per intervenuta prescrizione. Lo ha, invece, assolto, relativamente alle condotte a lui attribuite successivamente per insussistenza dei fatti.
Il Comandante Logistico della Marina Militare ha disposto l’avvio di inchiesta formale a carico del ricorrente, al fine di verificare la sussistenza di responsabilità disciplinari suscettibili di sanzione di stato. A conclusione di tale inchiesta, l’amministrazione lo ha sospeso per 6 mesi.
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La sentenza del TAR
Il ricorrente ha proposto ricorso al TAR, ma i giudici amministrativi hanno ritenuto il ricorso infondato.
Secondo i giudici, quanto alla specificazione dei fatti sanzionati, il riferimento a quelli oggetto del procedimento penale definito con la sentenza del Tribunale non lascia dubbi e non abbisogna di specificazioni ulteriori. Né l’interessato ha avuto difficoltà a controdedurre puntualmente, mostrando di avere ben chiaro quanto addebitatogli.
Il militare ha sottolineato nel ricorso che i fatti contestati atterrebbero alla vita privata del ricorrente e non avrebbero avuto alcuna risonanza esterna. Non sarebbe stato adeguatamente valutato l’eccellente stato di servizio del ricorrente, che è stato, tra l’altro, insignito per fatto di servizio, della Medaglia d’Argento al valor civile. L’art. 732 del D.P.R. n. 90/2010 prescriverebbe solo per i Carabinieri che il “contegno” legato allo status di militare debba essere osservato, “anche nella vita privata”.
Secondo i giudici amministrativi la lamentata carenza di istruttoria sui fatti non sussiste, giacché l’amministrazione ha correttamente fatto proprie le valutazioni in fatto operate dal giudice penale sull’attendibilità delle dichiarazioni del ricorrente, le quali rappresentano idoneo supporto della valutazione di disvalore della condotta del ricorrente contenuta nel provvedimento impugnato.
Né può condividersi -continuano i giudici – la lettura dell’art. 732 del D.P.R. n. 90/2010 operata da parte ricorrente, in quanto i primi quattro comma di tale disposizione si riferiscono, con ogni evidenza, alla condotta generale del militare, anche fuori dal servizio, mentre il comma 5, applicabile solo ai Carabinieri, riguarda la sfera più intima (vita privata) e priva di rilevanza esterna, ciò che non può certo dirsi delle circostanze addebitate al ricorrente.
Da ultimo, le decisioni assunte dall’amministrazione hanno espressamente tenuto conto dei precedenti di carriera e delle circostanze dedotte dall’interessato, sanzionando in modo che si appalesa corretto e ragionevole mancanze che avrebbero anche potuto condurre a determinazioni ben più gravi.
Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese di giudizio liquidate in € 2.500,00, oltre accessori di legge.
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