Maresciallo chiede ricongiungimento con la convivente, l’Arma lo riconosce solo con “coniugio”. Consiglio di Stato accoglie il ricorso
Nel 2019 un maresciallo dei carabinieri, assieme alla compagna avvia il procedimento per l’istituzione della «convivenza di fatto e della relativa modifica anagrafica della relazione di parentela in convivente di fatto», (a norma dell’articolo 1, commi 36 e 37, della legge 76/2016). A febbraio del 2020 informa il comando Legione Carabinieri Sardegna «di aver costituito una famiglia anagrafica e di avere un rapporto more uxorio con una donna». Successivamente la convivente vince un concorso da ostetrica in un’azienda ospedaliera fuori regione. Due settimane più tardi il maresciallo presenta istanza di trasferimento per «ricongiungimento familiare».
Il comando generale dell’Arma rigetta l’istanza dichiarandola inammissibile in assenza del presupposto che legittimi la sua presentazione perché «solo il coniugio, e non anche la convivenza di fatto, potesse essere messo a fondamento della richiesta di ricongiungimento familiare». C’è quindi il ricorso al Tar. Il militare chiede, previa sospensiva, l’annullamento del provvedimento.
Le pronunce di Tar e Consiglio di Stato
Il Tribunale amministrativo regionale respinge, a marzo 2021, l’istanza cautelare di sospensione del provvedimento impugnato. C’è poi l’ordinanza del Consiglio di Stato che in sede d’appello riforma «con ampia motivazione tale decisione» e accoglie l’istanza cautelare proposta in primo grado «ai fini di una sollecita definizione del giudizio». Il Consiglio di Stato, come ricostruisce la sentenza, evidenzia che l’Amministrazione «alla stregua di quanto è dato evincere dalla lettura della determinazione in prime cure avversata, non parrebbe allo stato aver posto, a fondamento del denegato accoglimento della suindicata istanza, la presenza di ostative esigenze di servizio (pur se nell’atto impugnato v’è menzione, sul punto, di talune perplessità espresse dalla catena di comando)».
La convivenza di fatto
Partendo dalla norma del 2016 che disciplina la convivenza di fatto i giudici ricordano che «la legge equipara espressamente i diritti dei conviventi di fatto a quelli dei coniugi in relazione a fattispecie tipiche (ordinamento penitenziario, malattia e ricovero, abitazione nella casa di comune residenza, accesso agli alloggi dell’edilizia popolare, diritti nell’impresa familiare, risarcimento del danno per morte del convivente di fatto)».Il Collegio, «vista anche la motivata ordinanza cautelare del Consiglio di Stato prima richiamata, ritiene di condividere tuttavia l’orientamento della più recente giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, sezione IV, numero 3896 del 17 giugno 2020) che, nel richiamare una decisione simile a quella di cui si discute, equipara in alcuni ambiti meritevoli di particolare considerazione, il convivente al coniuge, come ai fini dell’ottenimento o del rinnovo del permesso di soggiorno».
Concorde la Corte Ue dei diritti dell’uomo
Poi ci sono le indicazioni provenienti dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. «A ben vedere, infatti, – scrivono i giudici -l’Amministrazione ha motivato il diniego di trasferimento in forma semplificata con riguardo alla circostanza – evidentemente ritenuta decisiva – della inesistenza di un’unione matrimoniale fra il militare e la compagna e della conseguente impossibilità di applicare la normativa interna sui trasferimenti riguardanti i coniugi, senza incentrare le ragioni della sua decisione ai riferimenti che sono emersi nell’istruttoria procedimentale (esigenze di organico e di servizio) che solo genericamente sono state manifestate nel diniego e che – a prescindere dalla loro rilevanza – non possono assumere rilievo nella decisione del giudizio determinando una non consentita integrazione postuma della motivazione dell’atto impugnato».
Risultato: «il ricorso merita accoglimento». I giudici sottolineano che restano salvi, «i poteri dell’Amministrazione, che dovrà valutare ex novo la sussistenza dei presupposti necessari per accordare il trasferimento richiesto dal ricorrente». Il tutto anche alla luce di quanto stabilito dalla circolare del 30 settembre con cui il Comando generale dell’Arma dei Carabinieri, è intervenuto, specificando la necessità di considerare «con sensibile attenzione le domande inoltrate sulla base di una convivenza di fatto, anagraficamente certificata, per l’individuazione di sedi di destinazione funzionali al ricongiungimento auspicato».