Difesa

L’ITALIA NON È IN GUERRA CON NESSUNO, I NOSTRI SOLDATI IN CAMPO PER STABILITÀ E PACE

Dal fronte Est a quello Sud. Da Mosul alla Lettonia, passando per Siria e Libia. È davvero una intervista a tutto campo quella concessa in esclusiva a L’Unità dalla ministra della Difesa Roberta Pinotti. A tutto campo e senza mezzi termini sulle questioni più spinose che hanno scatenato polemiche interne.

Da un po’ di tempo a questa parte, ogni qualvolta l’Italia assume un impegno di natura militare, dalla Libia all’Iraq e ora in Lettonia, c’è subito chi grida: “Siamo in guerra”. Come stanno realmente le cose?

«Chiariamo subito che non siamo in guerra con nessuno e non possiamo dimostrarci un Paese immaturo quando si tratta di affrontare temi grandi e delicati. Preoccupa davvero che per alzare la polemica politica ci si comporti da smemorati o irresponsabili. L’Italia fa parte di organizzazioni internazionali quali l’Onu, la Nato, l’Unione europea e in base all’articolo 11 della Costituzione che consente, cito testualmente, “in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Questo dice la Costituzione e questo facciamo. Ci assumiamo le nostre responsabilità, insieme ad altri Paesi, come è giusto e solidale fare per sostenere la stabilizzazione, la pace e la sicurezza».

Alzando lo sguardo oltre i nostri confini, gli orizzonti che si aprono sono inquietanti, a Sud come a Nord-Est. A Sud: c’è il caos libico, il contrasto al Daesh in Iraq e in Siria. In questo scenario, c’è l’infinita tragedia di Aleppo e ora quella che si prospetta a Mosul. Qual è in merito il contribuo dell’Italia su questi fronti?

«L’Italia non è impegnata militarmente in Siria ma partecipiamo attivamente allo sforzo internazionale per provare a ricomporre quel quadro drammatico. Mentre diamo il nostro importante contributo in Libia e in Iraq. Siamo presenti a Erbil, a Baghdad e a Mosul con oltre 1300 soldati prevalentemente con addestratori a Erbil e nella capitale irachena. È un lavoro molto apprezzato dalle autorità locali, dalla popolazione e dai soldati curdi e iracheni. A Mosul a giorni finiremo di dispiegare lo schieramento a protezione dei lavori che la ditta italiana Trevi realizzerà per mettere in sicurezza una delle più importanti infrastrutture dell’Iraq. La coalizione internazionale anti Isis ha deciso di non intervenire direttamente nei combattimenti ma di supportare le forze armate irachene e curde per aiutarle a riconquistare i territori sotto il dominio del Califfato. Mosul è ancora una roccaforte dell’Isis che il governo iracheno e la coalizione internazionale devono riconquistare per infliggere al terrorismo un duro colpo, anche sul piano simbolico».

Altro fronte caldo è la Libia, come confermano le notizie che giungono in queste ore da Tripoli. Anche qui molto si è detto e scritto sulla presenza militare italiana. Siamo “boots on the ground” nel vicino Paese nordafricano?

«In realtà siamo “medics on the ground”. Anche in Libia noi agiamo per favorire il processo di pacificazione secondo i fondamenti della nostra linea politica: supporto dalle decisioni delle organizzazioni internazionali, e quindi alle decisioni Onu di dare aiuto al legittimo governo Sarraj, e azioni in funzione di cosa il legittimo governo chiede. Nel nostro caso ci è stato chiesto di curare i feriti libici con un ospedale e questo è quello che facciamo. Con la Ue, inoltre, addestreremo la guardia costiera libica affinché essa sia autonomamente in grado di contrastare il fenomeno delle migrazioni dalla Libia e agiamo per contrastare il traffico illegale di armi».

In ordine di tempo, la polemica più stringente è legata alla partecipazione di militari italiani nel contingente Nato che verrà schierato nei Paesi baltici. Cos’è: una sfida alla Russia di Putin? 

«La Nato ha preso atto della forte situazione di tensione a Est ed ha deciso di dare un segnale di rassicurazione agli alleati più esposti. La presenza Nato sarà numericamente limitata ma significativa per riaffermare la volontà di non voler accettare soluzioni basate sulla imposizione della forza. In questo quadro, la presenza italiana, poco più che simbolica, dà un segnale di coesione e solidarietà agli alleati. Al tempo stesso si cerca di riaprire un dialogo costruttivo con la Russia. Non dimentichiamo che è stata proprio l’Italia a dare una formazione spinta per la creazione del tavolo di dialogo Nato-Russia».

Molti di coloro che un tempo gridavano all’interventismo degli Stati Uniti. “Gendarme del mondo”, ora accusano gli Usa di isolazionismo. Pensando all’Europa, e in essa all’Italia, le chiedo: ma si può contare sullo scacchiere internazionale escludendo l’uso, sempre e comunque, dello strumento militare?

«Lei tocca due punti fondamentali. Il primo è proprio relativo alla crescita della dimensione Sicurezza e Difesa all’interno della Unione Europea. Inutile accusare gli Stati Uniti o di eccessi di protagonismo o di isolazionismo, se si rimane passivi o non si creano alternative. Una capacità europea di agire a livello regionale per la nostra sicurezza e difesa non dico autonomamente, ma almeno in linea con i nostri valori e interessi, è esattamente la strada da percorrere. Per quanto attiene all’utilizzo dello strumento militare, esso è, per l’appunto, uno degli strumenti possibili, insieme a quelli diplomatico, di intelligence, economico ed altri. Negare la possibilità di un suo utilizzo è come privarsi di una delle possibilità di azione, che in alcuni casi è assolutamente irrinunciabile per garantire una cornice di sicurezza all’azione degli altri strumenti».

Per concludere ancora con l’Italia. Il governo nel Libro Bianco parla di riorganizzazione delle Forze armate per affrontare le sfide future e indica la zona euro-mediterranea come principale area di intervento nazionale. Lei pochi giorni fa ha presentato al Parlamento europeo il contributo italiano alla difesa europea.

«Sì, il Libro Bianco riconosce il ruolo della Nato e allo stesso tempo indica come priorità la nascita di una difesa europea per ottimizzare meglio risorse, compiti e competenze. Il mondo è cambiato e noi non possiamo permetterci di rimanere ancorati a visioni legate al passato. L’Italia in questo, pur consapevole delle difficoltà presenti in Europa, può svolgere un ruolo di riferimento importante».

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