L’ARMA CHIEDE SCUSA AL MARESCIALLO CARMINE FORCELLA
Il maresciallo
dei carabinieri Carmine Forcella aggiorna il suo libro, Io non ho paura, e
aggiunge alla drammatica vicenda di cui è stato, suo malgrado, protagonista
nove pagine che danno il senso di un ulteriore lieto fine. «Diciotto anni dopo
i fatti che diedero origine a tante ingiustizie e dispiaceri – dice soddisfatto
– c’è stato un pareggio».
Forcella,
che ha lavorato nell’Arma per oltre un trentennio (nucleo radiomobile e polizia
giudiziaria presso la Procura di Como), onorando la divisa per operatività e
fiuto investigativo, un brutto giorno dovette fare i conti con i pentiti di
’ndrangheta e di mafia.
che ha lavorato nell’Arma per oltre un trentennio (nucleo radiomobile e polizia
giudiziaria presso la Procura di Como), onorando la divisa per operatività e
fiuto investigativo, un brutto giorno dovette fare i conti con i pentiti di
’ndrangheta e di mafia.
Furono loro a decidere che
l’avrebbe dovuta pagare per buona parte dei suoi 758 arresti. Tentarono di incastrarlo e per lui iniziò la
battaglia più dura. Ecco perché oggi, con buona dose di autoironia, ama dire di
essere stato un effetto collaterale del pentitismo.
l’avrebbe dovuta pagare per buona parte dei suoi 758 arresti. Tentarono di incastrarlo e per lui iniziò la
battaglia più dura. Ecco perché oggi, con buona dose di autoironia, ama dire di
essere stato un effetto collaterale del pentitismo.
Il 15
giugno 1994, al mattino presto, Carmine Forcella subì una perquisizione
domiciliare e personale. L’accusa era pesante come un macigno: associazione
mafiosa. Si aprì così il precipizio di un girone infernale. Venne meno la stima
di molti. Anche i superiori scaricarono quel maresciallo prima tanto osannato e
delle cui brillanti operazioni contro la criminalità organizzata si erano
avvantaggiati. Più pentiti ora lo accusavano. «Io fui praticamente ammazzato
innocentemente», riflette amaramente.
giugno 1994, al mattino presto, Carmine Forcella subì una perquisizione
domiciliare e personale. L’accusa era pesante come un macigno: associazione
mafiosa. Si aprì così il precipizio di un girone infernale. Venne meno la stima
di molti. Anche i superiori scaricarono quel maresciallo prima tanto osannato e
delle cui brillanti operazioni contro la criminalità organizzata si erano
avvantaggiati. Più pentiti ora lo accusavano. «Io fui praticamente ammazzato
innocentemente», riflette amaramente.
Nel
2000 venne però prosciolto da ogni accusa e l’incubo finì: «Andai in pensione
fin dal 1994. Contrastai tutto e tutti. Io non ci stavo a essere sacrificato
sull’altare del pentitismo. Non dubitai quasi mai del risultato finale. Ebbi
pace solo quando trovai giustificazione alle prime dichiarazioni di chi mi
accusava: eliminare chi gli dava fastidio».
2000 venne però prosciolto da ogni accusa e l’incubo finì: «Andai in pensione
fin dal 1994. Contrastai tutto e tutti. Io non ci stavo a essere sacrificato
sull’altare del pentitismo. Non dubitai quasi mai del risultato finale. Ebbi
pace solo quando trovai giustificazione alle prime dichiarazioni di chi mi
accusava: eliminare chi gli dava fastidio».
E
ora, nel giro di pochi mesi, la soddisfazione dà definitivamente pace a questo
servitore dello Stato. Dopo un’intervista al nostro giornale dal titolo Il
Carabiniere che non si lasciò fregare e dopo l’assegnazione del Premio
Internazionale “Giuseppe Sciacca” 2014, nello scorso gennaio ecco l’incontro
con il generale che comanda la legione dei carabinieri di Milano: «Potevano
ignorarmi – riflette – e non l’hanno fatto». E pochi giorni fa l’invito del
Comando generale dell’Arma a Roma. Voleva vederlo il generale Gaetano Maruccia,
comandante del 1° Reparto: di fatto, colui che gestisce tutta l’Arma.
ora, nel giro di pochi mesi, la soddisfazione dà definitivamente pace a questo
servitore dello Stato. Dopo un’intervista al nostro giornale dal titolo Il
Carabiniere che non si lasciò fregare e dopo l’assegnazione del Premio
Internazionale “Giuseppe Sciacca” 2014, nello scorso gennaio ecco l’incontro
con il generale che comanda la legione dei carabinieri di Milano: «Potevano
ignorarmi – riflette – e non l’hanno fatto». E pochi giorni fa l’invito del
Comando generale dell’Arma a Roma. Voleva vederlo il generale Gaetano Maruccia,
comandante del 1° Reparto: di fatto, colui che gestisce tutta l’Arma.
In viaggio verso la Capitale, Forcella ripassa la sua vita degli ultimi
vent’anni… Poi l’incontro estremamente cordiale e il dono di una lanterna di
cristallo. «L’Arma, di fatto e non solo, mi ha chiesto scusa – scrive ora il
maresciallo – Per me è stata una grande soddisfazione essere ricevuto a Roma e
soprattutto il modo in cui sono stato ricevuto, che fa tabula rasa dei
comportamenti non consoni di qualcuno non preparato ad affrontare una
situazione come quella di vent’anni fa. Oggi avrebbero potuto infischiarsene,
perché non coinvolti in quei fatti e invece non l’hanno fatto e, onestamente,
non posso chiedere di più. Mi sento leggero, liberato del peso che mi ero
portato dentro per tutto questo tempo. Ho avuto il mio giudice a Berlino. Per
me la storia finisce qui, bisogna capire quando è il momento di fermarsi e
continuare non porterebbe ad alcunché d’altro».