(di Sabrina Quartieri) – Sono passati quasi nove anni da quando è stata interrotta ingiustamente la prima vita di Filomena Di Gennaro. Era il 13 gennaio 2006 quando il suo ex fidanzato le svuotò contro il caricatore della pistola dopo aver pronunciato la frase «o mia o di nessun altro». Filomena è sopravvisuta e oggi ha una nuova vita, abita a Roma, è madre di due splendidi gemelli, Gabriel e Samuel, è moglie dell’uomo che l’ha salvata, è una lavoratrice, ma è costretta a stare sulla sedia a rotelle.
La sua forza e il suo coraggio di donna che l’ha scampata e che in qualche modo si sente in dovere di aiutare chi potrebbe essere esposta a episodi di violenza, sta nel suo sogno: realizzare una casa famiglia che possa accogliere le donne vittime di stalking, per dare loro assistenza psicologica e legale, ma anche un posto dove vivere e attraverso il quale poter trovare un lavoro.
Per riuscire a realizzare tutto questo però, Filomena ha bisogno di soldi. Denaro che potrebbe arrivare se solo riuscisse ad essere risarcita per i gravi danni subiti: biologico, morale, esistenziale, patrimoniale e non. Anche per questo Filomena ha deciso di tornare a chiedere giustizia.
A sostenerla in questa battaglia un team di avvocati dello studio romano Lima-Zega partners. Il legale Giancarlo Lima spiega che «l’azione che si sta per intraprendere mira ad ottenere la giusta quantificazione del danno subito dalla signora, come anche dai genitori, in conseguenza ai fatti del 13 gennaio 2006 nei confronti dell’aggressore Marcello Monaco».
E questo anche nell’ottica di agire nei confronti dello Stato italiano, qualora il responsabile non avesse possibilità economiche per risarcire tutti i danni provocati. «Secondo una Direttiva UE ( la 2004/80/CE del 29/4/2004 ) – aggiunge l’avvocato Lima – gli Stati membri sono infatti obbligati a dare ristoro alle vittime di reati violenti, cosiddetti ‘di sangue».
Viste le difficoltà economiche della signora Di Gennaro abbiamo deciso, come studio, di farci carico di tutte le spese per arrivare ad un processo per avere il risarcimento che servirà a realizzare il progetto dei sogni della nostra cliente e per il quale continueremo ad essere di supporto».
Filomena di sogni ne aveva tanti. Prima di essere ridotta in fin di vita, era un’allieva della scuola dell’Arma dei Carabinieri di Velletri, aveva vinto il concorso per diventare maresciallo. Poi, finita sulla sedia a rotelle, ha perso tutto. Solo dopo otto lunghi anni di battaglie è riuscita a strappare un contratto di collaborazione con l’Arma per un anno e spera che possa diventare rinnovabile. Il prossimo gennaio riprenderà anche il lavoro presso la Federazione Italiana Tabaccai, un part-time trovato grazie alle apparizioni di Filomena in televisione. Un impiego che quando le è stato offerto, è servito ad aiutare questa donna a riprendere in mano la sua vita.
La gratitudine di Filomena va a Pancalli, che l’ha voluta nel suo team quando era assessore, come anche a tutte le persone che l’hanno sostenuta quando si è sentita abbandonata dallo Stato: “Per noi donne vittime di stalking le difficoltà arrivano dopo, all’inizio hai i sostegni legali, psicologici, ma poi iniziano i problemi. Io sono fortunata – ammette Filomena – perché ho una famiglia alle spalle. La vita del disabile costa, a meno che non si stia reclusi in casa, dai comandi della macchina alle spese per la carrozzina leggera. E’ dura pensare di potercela fare con una misera pensione di invalidità”.
La grande amarezza di Filomena sta nell’incredulità nei confronti dell’atteggiamento assunto dal suo aggressore da quando è uscito dal carcere. Mai un messaggio di pentimento né la richiesta di perdono: “Solo una lettera dalla galera, scritta in un italiano troppo corretto per un ragazzo con la terza media – dice Filomena – in cui veniva fatta una promessa che poi non è stata mantenuta, ovvero che questa persona non si sarebbe mai più fatta vedere nel paese dove siamo cresciuti”.
Invece, una volta tornato in libertà, le sortite di Monaco a Stornarella in Puglia sono state sempre più frequenti, senza alcun riguardo verso la famiglia di Filomena che vive giù al paese. “E’ già capitato che ho dovuto vederlo di sfuggita lo scorso Natale – dice la donna – e all’idea di incontrarlo quando scenderò a Capodanno, mi viene tanta rabbia, soprattutto per mia madre che non si dà pace per come mi ha ridotto questa persona e piange quando mi guarda e dice di avermi fatto sana”.
Filomena non potrà mai perdonare. Il vero ergastolo è il suo, costretta su una sedia a rotelle da chi, dopo soli sette anni di carcere, è tornato a condurre una vita normale, trovando una ragazza che presto lo renderà padre di una bambina, proprio nel paese dove i due ‘ex’ sono cresciuti. “Lo Stato tutela i criminali, la mia carrozzina è un optional forse – dice Filomena con rabbia – e spero che questa figlia riuscirà a far capire al mio aggressore che quello che ha inflitto a me potrebbe un giorno subirlo lei. Mi auguro anche per la sua compagna che non penserà mai di lasciarlo…Io intanto mi ritrovo per colpa di questa persona ( che Filomena non vuole mai nominare ) a non poter più vivere sulle mie gambe liberamente, a non poter dare la mano ai miei figli perché c’è la ruota della sedia da spingere, a non poter correre con loro al parco, a dover sempre pensare se il posto in cui vado è accessibile o meno, costretta ogni giorno a dipendere dagli altri”.
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