Carabinieri

La nomina del nuovo Comandante dei Carabinieri divide il governo. Meloni si perde (di nuovo) nel labirinto delle stellette

Il Conto alla Rovescia

Il 15 novembre si avvicina inesorabilmente, e la prestigiosa caserma Salvo D’Acquisto di Roma si prepara ad ospitare una cerimonia dal sapore particolare. Mentre la macchina organizzativa lavora incessantemente per garantire un evento all’altezza delle aspettative – con ministri, sottosegretari e alte cariche dello Stato già muniti del prestigioso cartoncino d’invito – un’ombra di incertezza aleggia sui corridoi del Comando generale: chi prenderà il posto del generale Teo Luzi?

La Danza delle Poltrone

Nel valzer delle nomine, emergono tre figure di spicco: il vicecomandante Salvatore Luongo, il capo di stato maggiore Mario Cinque e il comandante interregionale “Pastrengo” Riccardo Galletta. Ma è nel retroscena politico che si consuma la vera battaglia, con un triangolo di potere che vede protagonisti il ministro Crosetto e i sottosegretari Mantovano e Fazzolari, ognuno arroccato sulle proprie posizioni con candidati diversi. Una partita a scacchi dove ogni mossa sembra bloccare la successiva. (clicca qui per approfondire le carriere dei 3 generali)

Storia che si Ripete: Il “Mal di Nomine” del Governo

Non è la prima volta che l’esecutivo Meloni inciampa sulle nomine di vertice delle forze dell’ordine. La memoria corre rapidamente alla vicenda della Guardia di Finanza, dove si è assistito a un simile balletto di indecisioni e tensioni. Come allora, anche oggi il governo sembra paralizzato davanti a una scelta che dovrebbe essere basata su meriti e competenze, ma che rischia di trasformarsi in un regolamento di conti interno alla maggioranza. Un déjà-vu che fa sorridere gli oppositori e preoccupa gli addetti ai lavori.

La Poltrona Superflua: Storia di un Lusso all’Italiana

E mentre si discute animatamente su chi dovrebbe guidare l’Arma, c’è chi si chiede se non sia il caso di fare pulizia nelle alte sfere del comando. Il caso più eclatante? Quello del vice comandante, una figura che qualcuno definisce “il più costoso assistente d’Italia”.

Ma la vera chicca è che, mentre altre forze dell’ordine hanno fatto un bagno di umiltà snellendo i propri vertici, l’Arma (e la Guardia di Finanza) mantiene questa posizione con la tenacia di chi difende l’ultimo bastione di una fortezza. Del resto, perché scomodare il Capo di Stato Maggiore per sostituire il Comandante Generale quando si può avere un “vice” dedicato? Una logica tutta italiana che fa sorridere, se non fosse che a pagare il conto sono, come sempre, i contribuenti.

La Profetica Visione di Andreatta

In questo scenario di incertezze e tensioni, riemergono con straordinaria attualità le parole di Beniamino Andreatta, ministro della Difesa nel primo governo Prodi. La sua visione sulla gestione dell’Arma appare oggi più che mai profetica: “Il comandante generale deve rimanere una figura esterna all’Arma, come supremo garante di neutralità nel comando”, affermava con fermezza. E ancora più incisivo: “È fondamentale prevenire che potenziali rivalità interne tra i più alti esponenti dell’Arma possano ripercuotersi sull’intera organizzazione, generando sconcerto nell’opinione pubblica e minando quella fiducia generalizzata che rappresenta il vero patrimonio conquistato in una lunga storia”.

Andreatta andava oltre, delineando un modello di leadership che oggi sembra sfuggire alle logiche della politica: “Solo così si offre ai responsabili politici l’opportunità di avvalersi di personalità provate, capaci di mantenere un atteggiamento equilibrato e costruttivo nell’esprimere il pur utile spirito di corpo”. Parole che risuonano come un monito in questi giorni di indecisione e che sottolineano quanto sia cruciale mantenere l’Arma al di sopra delle dispute politiche.

L’Attesa e le Sue Implicazioni

Mentre il Quirinale osserva con attenzione gli sviluppi, e Giorgia Meloni tenta di mediare tra le diverse anime del suo partito, l’Arma dei Carabinieri attende di conoscere il suo nuovo comandante. Una decisione che non può più essere rimandata e che richiede una visione che vada oltre gli equilibri di potere, per preservare l’integrità e l’autorevolezza di un’istituzione fondamentale per il Paese. Il tempo stringe, e l’orologio del 15 novembre ticchetta inesorabile, mentre Roma attende di sapere chi sarà il prossimo a varcare la soglia del comando di viale Romania.

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