La cortina di ghiaccio dell’Artico: nuovo terreno di scontro geopolitico tra Russia e NATO
Prima c’era la cortina di ferro, presto ci sarà quella di ghiaccio. È l’Oceano Artico, infatti, l’avamposto strategico del nuovo millennio ed è qui che, nell’ipotesi di un conflitto diretto, “la Russia utilizzerebbe le sue forze per proteggere le basi e l’area operativa dei sottomarini strategici, ma anche per sfidare potenzialmente la Nato e le linee strategiche di comunicazione marittima del Nord Atlantico”, spiega interpellata da “Agenzia Nova” la professoressa e ricercatrice, Katarzyna Zysk, del Norwegian Institute for Defence (Ifs) Studies di Oslo. Diviso tra sei Paesi dell’Alleanza è passato negli ultimi decenni da essere area neutrale a scoprirsi terreno di competizione.
“Geograficamente sembra una regione distante ma non lo è, anzi, ha un legame stretto nel pensiero strategico russo insieme ad altre fortezze, come il Baltico o l’Europa centrale”, prosegue la ricercatrice. E la politica militare russa degli ultimi decenni ne è evidenza. “L’interesse della Russia per l’Artico è cresciuto dai primi anni 2000, complici il cambiamento climatico e l’attenzione per le risorse energetiche, ma è dal 2008 che il Paese ha iniziato un vero e proprio programma di modernizzazione militare su larga scala nella Regione – sottolinea Zysk –. E negli ultimi anni, dall’annessione della Crimea nel 2014 all’invasione dell’Ucraina del 2022, i riferimenti all’importanza dell’area si sono fatti sempre più frequenti”.
Sotto le acque ghiacciate dell’Artico, che scorrono dal Canada alla Siberia, si nascondono riserve di gas naturale liquefatto (Gnl) e la sua superficie sarà presto una rotta commerciale ambita. Ma è la sua posizione, più che le risorse economiche, ancora troppo costose e poco accessibili, a renderlo un avamposto irrinunciabile. È per questo che solo poche settimane fa la Nato ha deciso di schierare 20 mila militari ai confini tra Norvegia, Finlandia e Svezia nella più grande esercitazione dell’Alleanza dalla fine della Guerra fredda, le Nordic Response 2024. “Le azioni della Russia in Ucraina e in Crimea hanno indirizzato l’attenzione degli Stati Uniti e dei Paesi della Nato verso l’estremo Nord perché le capacità che la Russia ha sviluppato in quest’area potrebbero essere utilizzate in modo offensivo” ad esempio “nell’ipotesi di un confronto diretto con un’altra grande potenza, come gli Stati Uniti, queste saranno direttamente coinvolte e attivate”, prosegue Zysk. Qui, infatti, “la Russia utilizzerebbe le sue forze per proteggere le basi e l’area operativa dei sottomarini strategici, ma anche per sfidare potenzialmente la Nato e le linee strategiche di comunicazione marittima del Nord Atlantico”, spiega la ricercatrice.
Ad ogni modo, da due anni a questa parte la Russia ha investito denaro e uomini per combattere la guerra in Ucraina. E molti di questi sono stati sottratti proprio all’estremo nord. “I bombardieri strategici, ma anche la maggior parte delle brigate artiche, sono state decimate in Ucraina” ma, secondo Zysk, “la domanda da porsi oggi è: la Russia le ricostruirà o no?”. In ogni caso, “penso che l’attenzione della Federazione russa rimarrà in particolare sul Baltico” e “non ho dubbi che cercherà di mantenere una forte forza nucleare, navale e soprattutto una componente aerea nella regione artica. Tuttavia, finché saranno impegnati in Ucraina, non penso che cercheranno di aprire un altro fronte”, osserva Zysk. Infine, anche dal punto di vista economico e commerciale “nell’Artico ci sono enormi riserve di Gnl ma il problema è che la Russia non possiede la tecnologia, le competenze o i fondi necessari per sfruttarle – conclude l’esperta dell’Ifs –. A causa dell’annessione della Crimea e della guerra in corso, infatti, non ci sono investimenti esteri, ad eccezione della Cina e di alcuni altri attori minori” e quindi “non mi aspetto che cercherà un attacco diretto nell’Artico. Se dovesse succedere saranno effetti collaterali di un conflitto più ampio”.
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