ANCORA UN’INDAGINE SU DEL SETTE, L’ACCUSA: ABUSO DI UFFICIO PER TRASFERIMENTI DI UFFICIALI
Alcuni carabinieri contro il loro superiore, ma la Procura di Roma non prova neppure a indagare. E’ quanto scrive Marco Lillo in un articolo per il Fatto Quotidiano. La stagione mediatica contro l’Arma dei Carabinieri non si arresta, anzi coinvolge altri servitori dello stato per notizie che in altri tempi non avrebbero di certo solcato le prime pagine dei quotidiani nazionali. Prima di riproporre l’articolo odierno del Fatto Quotidiano, vogliamo rammentare quanto scritto da Enrico Fedocci sul Killeraggio Mediatico nei confronti del Comandante Generale dell’Arma dei carabinieri. “In uno Stato di diritto non può essere un’azione di killeraggio mediatico a determinare equilibri così delicati per le istituzioni repubblicane. Si ricorda – e i giornalisti dovrebbero averlo bene a mente – che negli ultimi 10 anni il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei giornalisti ha varato una serie di codici deontologici che sanciscono due principi fondamentali per il diritto di cronaca: non fare processi mediatici, non anticipare in chiave colpevolista l’esito di indagini in corso, ma attendere tutte le risultanze istruttorie.” In attesa, quindi, degli sviluppi delle indagini e prima di sentenziare sul web, ecco l’articolo pubblicato oggi dal Fatto Quotidiano:
C’ è una seconda indagine sul comandante dei Carabinieri Tullio Del Sette. A marzo è stato iscritto sul registro degli indagati della Procura di Sassari (che ha subito trasmesso le carte a Roma) per abuso d’ufficio in relazione a tre trasferimenti di ufficiali dei Carabinieri in Sardegna invisi all’organo di rappresentanza dei carabinieri, il Cobar-Cocer, e anche di omissione di atti d’ufficio per non avere avviato un procedimento disciplinare contro i delegati Cobar che avrebbero, nell’ipotesi accusatoria iniziale sassarese, esondato dalle proprie competenze.
Ipotesi sassarese perché dopo una veloce rassegna delle carte chieste dai pm romani al Comando Generale, la Procura di Roma ha chiesto l’archiviazione dello stesso Comandante Generale e dei due coindagati: il comandante della Regione Sardegna fino a maggio 2016, Antonio Bacile e il delegato CoCer, Gianni Pitzianti. Il pm Francesco Dall’Olio ha firmato (e l’aggiunto Paolo Ielo ha vistato) la richiesta di archiviazione il 6 ottobre, appena 4 giorni dopo la consegna delle carte sui trasferimenti incriminati. A consegnare le carte sui tre trasferimenti in Procura a Roma è stato il Capo di Stato Maggiore Gaetano Maruccia, testimone chiave anche nell’inchiesta Consip su Del Sette.
Lo schema è simile a quello Consip. Ci sono dei Carabinieri che, con un certo coraggio, scrivono nelle informative ai pm (non romani) che per loro ci sarebbero i reati. C’è una Procura diversa da Roma che crede alla pista imboccata dai sottoposti di Del Sette. L’indagine di Napoli va avanti nel segreto. Questa di Sassari è stata stoppata appena ha passato il mare. La Procura di Roma ha chiesto l’archiviazione di Del Sette da entrambi i reati senza nemmeno svolgere le indagini che i Carabinieri della Compagnia di Porto Torres avevano chiesto di fare una settimana prima del trasferimento per competenza territoriale a Roma, nell’informativa del 20 marzo. La situazione è paradossale: i carabinieri chiedono di sequestrare le carte del loro Comando Generale e di sentire una decina di ufficiali per trovare i colpevoli. I pm di Roma non sequestrano e non sentono nessuno. Si limitano a chiedere le carte gentilmente al Comando dell’indagato Del Sette. Le leggono e non trovando nelle stesse un atto contrario ai doveri d’ufficio né la prova del dolo o di un’omissione, archiviano. I tre indagati sono iscritti per abuso e omissione d’ufficio in concorso perché nelle carte per i pm sassaresi c’è la fotografia di un corpo in balia dei CoBaR (Consigli di Base di Rappresentanza) e del Co.Ce.R (Consiglio Centrale di Rappresentanza) dei Carabinieri.
I due generali e l’appuntato Pitzianti sono infatti indagati dai pm di Sassari per tre trasferimenti di ufficiali. Tutto inizia nella profonda provincia sassarese nel 2015. Nella compagnia di Bonorva si determina una tensione tra il personale del nucleo radiomobile da un lato e il duo formato dal comandante della compagnia Francesco Giola, 40 anni, con il capo del nucleo operativo, Antonello Dore, 53 anni. Il personale è accusato dai due capi di mancanze sull’abbigliamento e di voler fare un po’ il proprio comodo invece che l’interesse operativo dell’Arma nella scelta dei turni. Il pezzo grosso del Cocer, l’appuntato Gianni Pitzianti, 50 anni, si schiera con la truppa. Il colonnello Giovanni Adamo, 50 anni, comandante provinciale di Sassari, si schiera con i due ufficiali. Risultato: il comandante Del Sette trasferisce i tre ‘capi’ regalando al ‘sindacato’ una vittoria umiliante sulla gerarchia intermedia. SULLO SFONDO c’è il rapporto Del Sette-Cocer. Grazie al Governo Gentiloni, sono stati prorogati a inizio 2017, dopo il Comandante Del Sette anche gli organi di rappresentanza di tutte le forze armate. Il Cocer prorogato e il Comandante prorogato hanno prorogato così il loro idillio. Il pm di Sassari Giovanni Porcheddu scrive il 27 marzo 2017 nella lettera di trasmissione delle carte a Roma: “le indagini svolte sino a questo momento hanno fatto emergere come il trasferimento (dei tre ufficiali, Ndr) venne deciso a seguito di una indebita intromissione nella scelta di esclusiva competenza dei vertici dell’Arma dei Carabinieri da parte del COBAR Sardegna”. Il Cobar non dovrebbe intromettersi nelle nomine secondo l’ordinamento militare. Eppure “Cobar e Cocer si sono occupati in maniera continuativa di temi ed argomenti che gli sono espressamente preclusi e vietati dalla normativa senza tuttavia, che i vertici regionale e nazionale dei Carabinieri abbiano mai impedito o censurato tali condotte”. Di qui l’omissione. Nella lettera controfirmata dal procuratore capo Gianni Caria, il pm sassarese scrive “non sono stati neanche avviati i procedimenti disciplinari d’ufficio a carico dei responsabili”. L’informativa dei Carabinieri di Porto Torres del 20 marzo si conclude così: “Gli accertamenti sino ad ora condotti hanno consentito di documentare il concreto fumus dei reati”. Per individuare i colpevoli il comandante Romolo Mastrolia chiedeva alla Procura di sentire una decina di ufficiali, tra i quali spicca il colonnello Adamo, persona offesa. Inoltre chiedeva di sequestrare (non chiedere) le carte relative ai trasferimenti al Comando Generale e al Cocer. Il pm Dall’Olio non ha sentito nessuno. Non ha sequestrato nulla. L’abuso d’ufficio per lui non ci sarebbe stato perché, per configurarlo ci vuole un atto vero e proprio e nella pratica consegnata dal Comando Generale un atto di pressione del CoBaR o CoCer non c’è. Inoltre non è provato il dolo. Sarà ora il gip a decidere se questa storia merita un’inchiesta più approfondita.