IMPERIA, IN CONGEDO IL CARABINIERE CHE SFIDO’ I KHMER ROSSI
Imperia – Ha sempre lavorato in sordina. È quanti scrive Maurizio Vezzaro per il Secolo XIX. Il suo nome, negli articoli di giornale che facevano la cronaca delle operazioni, non è mai comparso.
Neppure in quella in cui, dimostrando doti da Serpico, aveva vissuto per giorni travestito da clochard nei giardini del Lungomare di Diano Marina per sgominare una gang di pusher. Dopo trent’anni di servizio alla Compagnia di Imperia, è andato in congedo il luogotenente dei carabinieri Piercarlo Baldizzone, “colonna” dell’Arma. In certi frangenti è stato alla guida del Nucleo operativo e ha diretto tutte le stazioni della Benemerita nel territorio, eccetto quella di Dolcedo.
Ma le sue vere doti, di coraggio e sprezzo del pericolo, Baldizzone le dimostrate nelle missioni all’estero per conto dell’Onu. È stato in Cambogia dal 1992 al 1993, in Cisgiordania un anno dopo e in Bosnia nel biennio 1995-1996. In Cambogia e Bosnia si è distinto per sangue freddo e temerarietà. Nella terra dei templi di Angkor insanguinata dalle gesta dei Khmer Rossi Baldizzone ha evitato una strage di civili. Nel maggio del 1993, con l’approssimarsi delle elezioni alla fine del sanguinario regno di Pol Pot, il clima era incandescente. Una sera, uno dei soldati governativi aveva sputato sul ritratto del principe Sihanouk leader dell’opposizione, affisso davanti alla sede del partito locale. La cosa non era passata inosservata: uno dei membri del partito picchiò il militare. Poche ore dopo un una dozzina di commilitoni del soldato si presentò davanti alla sede del partito. Erano armati di mitra e lanciagranate. Le armi erano state puntate contro gli occupanti dell’ufficio, una ventina di persone circa. Era stato Baldizzone a frapporsi tra i militari e gli ostaggi, facendo da scuso umano per impedire che venisse aperto il fuoco. Dopo un lungo e duro confronto, i soldati si ritirarono. «Paura? – ricorda il luogotenente – In quei momenti non puoi permettertela. Solo dopo ti rendi conto di quello che poteva essere». I civili scampati all’eccidio gli si inginocchiarono davanti, quasi fosse una divinità: aveva salvato loro vita rischiando la propria.
Anche in Bosnia ha compiuto un atto di coraggio. A Mostar, città martoriata dalla guerra, nel gennaio 2006 era scoppiato uno scontro armato sulla linea di confine tra croati e bosniaci. Baldizzone capeggiava il turno di servizio. Fece rientrare tutti i suoi uomini e da solo, con una macchina di servizio non protetta e coi lampeggianti in funzione percorse per quattro chilometri la linea di fuoco che separava le due fazioni. Forse ammirati o forse solo stupiti, i miliziani non spararono un colpo e non ci furono altri combattimenti. Come spesso accade, Baldizzone, a parte gli attestati di stima ricevuti sul campo, non ha encomi o crest da esibire. Ma forse lui preferisce così, da piemontese discreto che preferisce i fatti alle parole.