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CHI È IL CONTRACTOR

(di Camilla Doninelli) – Chi
sono i contractor? Dove sta la differenza dal mercenariato? “C’è
un problema di strumentalizzazione dei termini” 
ci spiega Stefano
Ruzza
, docente all’Università di Torino, “in qualche modo c’è chi
cerca di creare una coincidenza univoca tra questi due vocaboli, e c’è chi,
invece, cerca di distinguerli in modo netto”
.

In
effetti tracciare una linea definita tra le due figure è piuttosto difficile,
ancor di più se le si vuole inquadrare in un quadro giuridico ben preciso.
 La base di partenza sono “tre Trattati Internazionali, considerati i
testi di riferimento: la Convenzione di Ginevra del 49’, esattamente il 
primo protocollo addizionale che è del 1977, Convenzione dell’ Organizzazione dell’ Unità
Africana del 1977
 e poi c’è una specifica Convenzione Onu sul controllo del reclutamento, l’uso, il
finanziamento e l’addestramento del mercenario del 1989
. La
difficoltà è nell’attualità della definizione, queste sono costruite sulla
figura del mercenario classico. Queste definizioni sono volte a dare uno status
giuridico del contractor, con la precisazione che è una dicitura impropria”.
 
Francesco Di Pietro, avvocato e autore
de ‘Il mercenarismo moderno. Profili di diritto penale’, sottolinea
il problema a livello giuridico. Le Convenzioni internazionali hanno esaminato
la figura del mercenario e del mercenariato (compresi i relativi limiti), ma
quella del contractor è una situazione differente, trattati internazionali in
questo senso non ce ne sono. L’atto più recente è il “Protocollo
di Montreux
, sono dei codici di condotta di cui si  sono
dotati gli Stati, non hanno il rango di un Trattato internazionale.
Sottoscritto da 44 Stati e dall’Unione Europea. Il contractor si differenzia
dal mercenario sull’aspetto finalistico. La militanza (a tutto campo) a favore
dello straniero, questo è mercenariato. Ed è questa la differenza tra
contractor e mercenari”
.


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Il ‘mercenario
è per definizione “una persona che viene appositamente reclutata, localmente
o all’estero, per combattere in un conflitto armato e che ha preso parte alle
ostilità spinto dal desiderio di avere un profitto personale”,
 continua
l’avvocato Di Pietro, “letteralmente si legge ‘una remunerazione materiale
nettamente superiore a quella corrisposta ai combattenti aventi rango e
funzione militari’. L’elemento distintivo quindi “si identifica per la
remunerazione che deve essere superiore rispetto a quella di un normale
soldato, non deve essere cittadino di nessuna delle parti in conflitto, né
residente in nessuno dei due Stati, non deve essere membro delle Forze Armate e
non deve essere stato inviato da uno Stato terzo non parte nel conflitto”
.
Mentre
con il termine ‘contractor’ viene generalmente utilizzato per delineare
quei professionisti privati che forniscono dei servizi di sicurezza
senza partecipare in maniera attiva ai conflitti
, si possono elencare le
Private Military Companies, Private Security Companies, Società
dell’industria della sicurezza ed i Contractors veri e propri (grandi colossi
dell’industria della sicurezza che operano a supporto di un Governo).
Il
raggio di azione di chi si occupa di sicurezza (parliamo di privati
naturalmente) può essere letta con un duplice scopo, “da un lato
abbiamo l’esternalizzazione di attività di logistica e di supporto, servizi
disarmati che possono essere fatti a complemento dell’attività delle forze
armate anche in teatro; dall’altro abbiamo attività di tipo armato», 
afferma
il Professor Ruzza, «ai giorni nostri le attività di tipo
armato, che sono fornite da soggetti privati (in concomitanza con attività
legate agli apparati di difesa) sono il più delle volte delle attività di
tutela di materiali o di persone, non attività di combattimento in senso
diretto”.
L’Italia,
al contrario di Paesi come Stati Uniti o Gran Bretagna, non utilizza gli
‘eserciti privati’, ci sono stati solo due casi specifici ma
parliamo del “ritiro delle truppe italiane dall’Iraq che è avvenuto nel
2006»,
 continua Di Pietro. «In quel caso il Ministero degli Esteri
ha utilizzato delle compagnie private straniere. Parliamo del 
Decreto Missioni del 2007. Il Governo ha
ravvisato la necessità di stipulare un contratto con una società di sicurezza.
Bisognava evacuare il personale civile che era a Nassiriya. La
finalità era la sicurezza del personale civile italiano, non era un utilizzo in
guerra. Un altro episodio è stato nel 2009. Il Governo italiano ha ingaggiato
una società britannica con sede a Dubai per la scorta di un funzionario
italiano in Somalia”.
“Il
nostro Paese ha una tendenza limitata all’esternalizzare i servizi collegati
alla funzione difesa»,
 aggiunge Stefano Ruzza. «C’è
stato un processo di riforma da questo punto di vista che ha radici piuttosto
profonde, i primi cenni sono individuabili nei primi anni 90’, nel Primo Libro
Bianco della Difesa del 2002, che hanno portato ad un relativo coinvolgimento
di attori commerciali per quanto riguarda attività di supporto, ad esempio la
costruzione di basi o la fornitura di bene in teatro, che però non ha assunto
la stessa magnitudo che ha avuto in termini percentuali con riferimento ad
altri Paesi come gli Stati Uniti e il Regno Unito, e di certo non ha riguardato
la fornitura di servizi armati in supporto diretto all’attività delle nostre
forze armate. Anche se su questo c’è stato, tuttavia, il coinvolgimento di
alcune aziende private che hanno erogato servizi armati, ma non l’hanno fatto
per la Difesa. Nel 2007, quando c’è stato il ritiro delle truppe italiane
dall’Iraq. L’impiego di questa azienda è stato documentato, nel senso che ci
sono state interrogazioni parlamentari. Si tratta di casi relativamente
limitati”.


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Nel
2004 con il rapimento e poi l’uccisione di Salvatore Quattrocchi si
è parlato della figura del contractor. “Il nostro codice penale prevede due
reati ben precisi: il 
244 (Atti
ostili verso uno Stato estero), e il 
288 (Arruolamenti
o armamenti non autorizzati a servizio di uno Stato estero)”, 
elenca Francesco
Di Pietro
“Non sono mai stati applicati fino alla vicenda di
Quattrocchi. Oltre a questo ci sono sempre i trattati internazionali che fanno
da cornice, tutti approvati dall’Italia. Con la legge 210 del 1995 (con
riferimento alla ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite a New York il 4
dicembre 1989) abbiamo la definizione normativa di mercenario e il reato di
mercenariato. Citando il caso di Fabrizio Quattrocchi, Umberto Cupertino,
Maurizio Agliana e Salvatore Stefio erano arruolati in un’impresa gestita da italiani
(la Presidium Corporation Giampiero Spinelli) a sua volta in sub-appalto ad
un’impresa statunitense. Nei confronti di Spinelli è stato applicato il reato
dell’art. 288. (poi assolto perché non sussisteva il fatto). Nell’articolo
citato si prevede il reato solo l’arruolatore ma non per l’arruolato. Ora è
stato esteso quando parliamo di arruolamento con finalità di terrorismo”.
Se fino
a questo momento abbiamo parlato di outsourcing di servizi
(sia in senso strettamente militare o solo di coordinamento) a società private
da parte dello Stato, il caso dei Marò italiani potrebbe
sembrare un ibrido. Capiamo il perché.

“In
quel caso c’era un problema in merito alla tutela di un naviglio mercantile
italiano. La tutela di un interesse privato a fronte di una minaccia criminale
legata alla pirateria, e per rispondere a questa minaccia c’è stato un processo
di trasformazione che ha avuto luogo in molti Paesi europei, Italia inclusa. Si
è affidata la tutela del naviglio ai fucilieri di Marina”,
 conclude
Stefano Ruzza. “La legge 130
del 2011
, che ha consentito l’imbarco dei Marò armati sul mercantile
italiano, precedeva già un sistema ibrido: l’armatore avrebbe dovuto rivolgersi
in primo luogo alla Marina Militare per ottenere i team di protezione militare,
nel caso in cui fossero indisponibili poteva rivolgersi a degli Istituti di
Vigilanza. In origine era prevista sulla carta questa duplice possibilità, ma
non esistevano i decreti attuativi e i regolamenti per consentire l’impiego
degli istituti di vigilanza privata, la normativa è stata completata  nel
tardo 2013; a partire da febbraio 2015 è stata sospesa dal Ministro della
Difesa la possibilità di impiegare i militari. Attualmente l’armatore italiano
può rivolgersi esclusivamente alla sicurezza privata. Il caso Marò ha
contribuito, molto probabilmente, a congelare il fronte dell’erogazione del
servizio da parte della Marina, e ha lasciato spazio al comparto privato”.

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