Finanziere comprava auto di lusso all’estero, azzerava i km e le rivendeva in Italia. Condannato a risarcire la Guardia di Finanza e l’Agenzia delle Entrate
Un appuntato scelto della Guardia di Finanza, condannato dal Tribunale militare di Verona ad un anno e cinque mesi di reclusione poiché riconosciuto colpevole del reato di collusione aggravata con estranei per frodare la finanza pubblica in quanto, negli anni 2010 e 2011, aveva partecipato ad un sodalizio criminale, operante tra l’Italia e la Germania, che, attraverso un sistema di frodi carosello, aveva commerciato autovetture, con evasione di IVA per fatture soggettivamente inesistenti per euro 2.267.776,00, a cui si aggiungeva un’indebita detrazione di IVA per euro 40.667,00. In particolare, dietro compenso in denaro, a partire dal settembre 2010, l’Appuntato si era recato in più occasioni all’estero per prelevare autovetture di lusso, poi rivendute in Italia da altri soggetti appartenenti al sodalizio criminale; aveva proceduto allo “scarico” illecito dei contachilometri delle autovetture e, infine, aveva informato i capi del sodalizio criminale sull’andamento delle indagini.
In tal modo, dunque, sfruttando il suo status di finanziere, aveva agevolato la commissione di reati fiscali, che, in quanto appartenente alla Guardia di finanza, avrebbe avuto, invece, l’obbligo giuridico di impedire.
Tale condotta antigiuridica aveva causato all’amministrazione, in primo luogo, un danno erariale da mancata entrata tributaria a titolo di IVA che il Procuratore della Corte dei Conti ha quantificato in via equitativa in euro 40.000,00, tenuto conto del ruolo svolto dall’Appuntato all’interno del sodalizio criminale.
In secondo luogo, aveva cagionato all’amministrazione un danno da disservizio, in quanto aveva strumentalizzato la funzione pubblica esercitata al conseguimento di finalità illecite, danno quantificato in via equitativa in euro 17.000,00, sulla base dell’ammontare delle retribuzioni e degli oneri previdenziali pagati nel periodo di svolgimento dell’attività criminale (settembre 2010/ luglio 2011).
In terzo e ultimo luogo, il convenuto aveva leso l’immagine dell’amministrazione di appartenenza e, per essa, del Ministero dell’economia e delle finanze, posto che, come evidenziato dagli atti del procedimento penale, le condotte criminali avevano determinato la diffusione della notizia di un coinvolgimento sistematico di un appuntato della Guardia di finanza in attività fraudolente a danno delle finanze pubbliche. Anche tale ultima voce di danno era quantificata in via equitativa nella misura di euro 15.000,00, sulla base dei criteri oggettivo, soggettivo e sociale elaborati dalla giurisprudenza contabile.
Nel caso in esame – precisa la Corte dei Conti – la condotta del convenuto ha inciso negativamente sul regolare svolgimento dell’attività di polizia tributaria, poiché l’Appuntato non soltanto non ha segnalato le condotte fiscalmente illecite del sodalizio criminale, ma anzi ha ostacolato le indagini in corso, informando dei loro progressi i vertici del sodalizio, così consentendo l’adozione di contromisure. A ciò si aggiunge la considerazione che il suo comportamento ha reso necessario l’impiego di risorse per verificare le condotte delittuose e irrogare le conseguenti sanzioni. Ha, dunque, avuto un impatto negativo, economicamente valutabile, sotto tale duplice profilo, sull’attività dei militari della Guardia di finanza.
Per quanto concerne il discredito derivante dal danno di immagine, la Corte dei Conti ha sottolineato che “è fatto notorio che le Amministrazioni Pubbliche sono tenute istituzionalmente ad impiegare sistematicamente rilevanti risorse finanziarie, umane e strumentali nell’ottica di migliorare gradualmente gli standard d’efficienza e d’efficacia della propria azione e di promuovere la diffusione all’esterno di un’immagine di sé caratterizzata dal rispetto dei principi di legalità, di buon andamento, di esclusiva ed efficace tutela degli interessi della collettività, in modo da incrementare la fiducia dei cittadini e degli utenti nelle istituzioni e nei servizi pubblici. Parimenti appare palese e indiscutibile che i comportamenti illeciti e gravemente devianti tenuti dei pubblici dipendenti, risultano normalmente percepiti dall’opinione pubblica come immediatamente riferibili (oltre che ai loro autori materiali) alla stessa istituzione cui essi appartengono, la quale viene a perdere inevitabilmente prestigio e credibilità di fronte alla collettività.”
La Sezione Giurisdizionale Regionale per l’Emilia-Romagna ha dunque condannato il militare al pagamento di euro 40.000,00 in favore dell’Agenzia delle entrate e al pagamento di euro 32.000,00 in favore del Corpo della Guardia di finanza.