Editoriale

E’ morto Frate Mitra, “il legionario francescano” che da infiltrato fece catturare i capi delle Brigate Rosse

E’ morto a Torino all’età di 83 anni Silvano Girotto, conosciuto come Frate Mitra. Aveva un male incurabile. Ex legionario, guerrigliero in America Latina ed ex frate francescano, collaborò con i carabinieri del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa contribuendo alla cattura dei vertici delle Brigate Rosse, ai quali si avvicinò durante gli anni di piombo fingendosi interessato al progetto dell’organizzazione terroristica.

Nato a Caselle Torinese il 3 aprile del 1939, dopo aver combattuto in Algeria a fianco dell’esercito francese, Girotto decise di entrare nell’Ordine francescano, diventando frate nel 1969. Vicino al Pci, svolse attivita’ da missionario in Sud America, opponendosi in Cile contro il regime del dittatore Augusto Pinochet.

Espulso dai francescani, fece ritorno in Italia dove entro’ in contatto con le Brigate rosse pur senza entrare nell’organizzazione, e, in accordo con i carabinieri di Dalla Chiesa, fu determinante per l’arresto dei fondatori Renato Curcio e Alberto Franceschini, catturati in auto l’8 settembre del 1974 a un passaggio a livello a Pinerolo.

A ricordarlo, ora, c’è anche l’ex procuratore capo di Torino, Giancarlo Caselli: “Silvano Girotto è stato un testimone importantissimo nell’inchiesta condotta da Bruno Caccia e da me che è poi sfociata nel processo ai capi storici delle Brigate Rosse”. Caselli, che all’epoca dei fatti era giudice istruttore, racconta: “Girotto era stato infiltrato dai carabinieri nelle Br, aveva avuto alcuni colloqui spesso registrati con brigatisti doc che alla fine gli avevano fissato un appuntamento a Pinerolo per farlo entrare nell’organizzazione. A quel punto il generale Dalla Chiesa decise di intervenire perché Girotto una volta reclutato avrebbe dovuto, questa era la regola delle Brigate Rosse, compiere dei delitti e questo Dalla Chiesa non lo poteva consentire”.

“A Pinerolo, nel settembre 1974 – prosegue Caselli – vennero arrestati Curcio e Franceschini, i capi dei capi delle Br e Girotto venne poi sentito da me come testimone a futura memoria perché c’era il timore che potesse allontanarsi per autoproteggersi o che qualcuno volesse fargli del male per punirlo ma lui – conclude – si presenterà in Corte d’Assise ed io ricordo le cronache di allora che parlarono di brigatisti sbigottiti, in silenzio, ascoltando le sue accuse e la sua ricostruzione dei fatti”.

Dopo l’arresto di Curcio e Franceschini, Frate Mitra scrisse una lettera aperta alle Brigate Rosse. “E così, signori – si legge tra l’altro nel documento – mentre strombazzavate ai quattro venti il vostro folle proclama di attacco al cuore dello Stato, al cuore siete stati colpiti voi. È vero: i carabinieri hanno agito con la mia attiva collaborazione. Non ho mai inteso negarlo e non ho mai risposto prima al vostro ameno volantino solo perché impegnato a preparare per voi ulteriori legnate”.

Girotto rinunciò in seguito a ogni tipo di protezione e nel 1978 testimoniò spontaneamente contro le Brigate Rosse nel processo a Torino. Sposatosi con una donna boliviana, da cui ebbe due figlie, Girotto continuo’ a lavorare prima in Piemonte e poi all’estero, facendo infine ritorno nella terra dove era nato.

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