Divise forze dell’ordine: prodotte in Romania e pagate il doppio dallo Stato
Per preservare il Made in Italy il governo intende disincentivare le delocalizzazioni in paesi con un più basso costo del salario e una minore imposizione fiscale.
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Negli ultimi anni i settori più colpiti sono quelli del tessile e dell’abbigliamento. Secondo l’Osservatorio Cribis, in dieci anni si sono persi 3,5 miliardi di fatturato, hanno chiuso 4.000 aziende e sono spariti 40.000 posti di lavoro. Tra le ditte italiane che producono abbigliamento, quelle che ricevono maggiori soldi pubblici sono le aziende che confezionano divise e uniformi per le amministrazioni dello Stato, forze armate e forze dell’ordine. I ministri e sottosegretari che amano indossare in pubblico giacche, giubbotti e divise di Polizia, Vigili del fuoco, Carabinieri, Esercito sanno dove vengono realizzati questi capi e chi li produce, quanto costano e chi ci guadagna? Report è entrata nelle fabbriche all’estero che confezionano uniformi e divise e ha parlato di prezzi con gli amministratori.
Le sedi si trovano maggiormente in Lombardia e in Toscana, ma i loro stabilimenti sono dislocati a Bucarest. Da lì arrivano migliaia di divise con costi ben più bassi di quelli che sosterrebbero qui le imprese. Lo Stato però paga le uniformi come se fossero prodotte in Italia. Questo sistema permetterebbe alle aziende di guadagnare il doppio facendo la “cresta” allo Stato.
In studio Sigfrido Ranucci, conclude: “Ci ha scritto ‘”Alfredo Grassi”, che produce le divise dei Carabinieri, ma soprattutto della Polizia di Stato, e dice che i suoi sono investimenti esteri, non delocalizzazione, che hanno permesso di trasferire i valori culturali ed etici in Romania, e soprattutto di non licenziare dipendenti che ha in Italia.
Poi conferma anche la piccola produzione in Moldavia, fuori dall’Ue. Questa però avrebbe dovuto segnalarla nel momento in cui ha partecipato al bando, ma non l’ha fatto.
Ci ha scritto anche la Polizia di Stato, che dice che la base d’asta è determinata dai prezzi delle materie, dei semilavorati, della media dei prezzi delle aggiudicazioni precedenti, e dalle prove merceologiche che ha fatto sui campioni. Ci ringrazia anche delle segnalazioni e farà verifiche sugli effettivi costi di produzione, anche se l’operatore fabbrica, poi, su comando, anche divise a terzi, divise della Polizia, perché quello sarebbe un pochettino più grave.
Poi, i Carabinieri. Ci scrivono che la giacca a vento costa di più perché è aumentata la qualità e quindi dura di più. E, nel tempo, consente dei risparmi. Lo Stato Maggiore della Difesa – l’Esercito, Marina e Aeronautica – ci scrive che i criteri di aggiudicazione sono quelli del “prezzo più basso” e dell’“offerta più vantaggiosa”.
Ma per chi? Senza scadere nella retorica di quello che rappresenta la divisa per chi la indossa, perché ci starebbe anche. C’è chi muore semplicemente per averla indossata.
E’ successo al maresciallo dei Carabinieri, Di Gennaro, morto nella provincia di Foggia sabato scorso. Report si stringe intorno al dolore dei familiari e dell’Arma. Senza scadere e cadere nella retorica, qui ci sono centinaia di milioni che girano e che passano sotto il naso di quella che è un’eccellenza italiana, il settore tessile. Che viene mortificato ancora una volta. Quando un politico indossa una divisa per condivisione con i lavoratori che la indossano, dovrebbe pensare anche ai quarantamila lavoratori del tessile che sono rimasti per strada. Bisognerebbe fare qualcosa. Bisognerebbe, magari, riparametrare, se non si riesce a coinvolgerli, riparametrare la base d’asta sui prezzi della Romania. Tanto lì li fanno. E reinvestire quello che risparmi in posti di lavoro nel nostro paese. Così daresti anche un senso, senso pieno, alla parola condivisione.”