Attualità

Denuncia respinta, poi il femminicidio: giudizio immediato per il carabiniere accusato di omissione di atti d’ufficio


Un processo che scuote Castelfranco Emilia

Un giudizio immediato per il luogotenente dei Carabinieri di Castelfranco Emilia, accusato di rifiuto o omissione di atti d’ufficio. È questa la nuova svolta giudiziaria nel caso di Gabriela Trandafir, la donna romena uccisa il 13 giugno 2022 a Cavazzona insieme alla figlia Renata dal marito, l’imprenditore Salvatore Montefusco.
Il militare ha scelto di saltare l’udienza preliminare, prevista per il 16 ottobre, chiedendo di affrontare direttamente il processo. La decisione è stata comunicata alle parti dal suo difensore, l’avvocato Cosimo Zaccaria.


La denuncia mai raccolta

Secondo la Procura di Modena, guidata dal procuratore capo Luca Masini, il carabiniere non avrebbe raccolto la denuncia per maltrattamenti presentata da Gabriela nel 2021, un anno prima dell’omicidio.
La donna si era recata due volte nella caserma di Castelfranco Emilia, ma — come raccontò in una lettera scritta di suo pugno — le sarebbe stato impedito di formalizzare la querela.

“Sono stata due volte dai carabinieri di Castelfranco Emilia… si sono rifiutati di prendermi la denuncia dicendo che non c’era il maresciallo. Il maresciallo mi ha convinta a non denunciare mio marito”,
scrisse Gabriela in quei fogli trovati mesi dopo, nascosti tra gli archivi della Tenenza.

La lettera, ritrovata il 9 settembre scorso all’interno della stessa caserma e ora agli atti dell’inchiesta, rappresenta una testimonianza drammatica della paura e della solitudine vissuta dalla donna. Gabriela vi descriveva anche l’atteggiamento del militare, che le avrebbe suggerito di fingere lo smarrimento della tessera sanitaria pur di non sporgere denuncia.

In sostanza, secondo la Procura, il luogotenente della stazione di Castelfranco Emilia non avrebbe ricevuto la denuncia per maltrattamenti da parte del marito presentata da Gabriela Trandafir il 13 luglio 2021, prima tentando di convincerla a fare solo la causa civile di separazione e poi, a fronte della sua insistenza e nonostante la paura che l’uomo potesse fare del male a lei e ai figli, le disse di non poter ricevere la querela in quel momento e di tornare nel pomeriggio. 


Una tragedia che poteva essere evitata

Il giorno dopo il presunto rifiuto, Gabriela riuscì a presentare la denuncia in un’altra caserma, ma — secondo la Procura — il militare di Castelfranco non avrebbe poi eseguito nei tempi dovuti le indagini richieste.
Un ritardo e un’omissione che, per l’accusa, potrebbero aver contribuito a una catena di eventi culminata nel duplice omicidio.


Il verdetto su Montefusco e il nodo delle responsabilità

Nel frattempo, Salvatore Montefusco è stato condannato all’ergastolo dalla Corte d’Appello, che ha ribaltato la condanna di primo grado a 30 anni di reclusione.
La giustizia ha dunque riconosciuto la sua piena responsabilità nel delitto di Cavazzona, ma resta aperto il capitolo delle istituzioni che non ascoltarono il grido d’aiuto di Gabriela.


“Se mi succede qualcosa, troverai la mia verità”

Prima di morire, Gabriela confidò alla sorella Elena di aver lasciato alcuni fogli di denuncia nascosti sotto la ruota di scorta della propria auto. “Se mi capita qualcosa, lì troverai la verità”, le disse.
Pochi giorni dopo, il suo corpo e quello di Renata vennero trovati senza vita, colpiti a fucilate nella casa di famiglia.

Oggi, a distanza di tre anni, il giudizio immediato nei confronti del luogotenente segna un nuovo capitolo nella vicenda, riportando al centro del dibattito la tutela delle vittime di violenza domestica e la responsabilità di chi avrebbe dovuto proteggerle.


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