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Crosetto rompe il velo: “Italia fuori dalla serie A delle potenze” – e ora?

Un’Italia grande, ma non decisiva

Nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera, il ministro della Difesa Guido Crosetto ha pronunciato parole difficili da ignorare: «L’Italia è una grande nazione, ma tutti sappiamo che non gioca nella serie delle super potenze». Un’affermazione che, per onestà e lucidità, spicca in un panorama politico spesso incline alla propaganda. Il ministro ha poi puntato il dito contro l’Europa: «L’Unione europea, così com’è, non esiste come entità statuale… Non ha peso perché non può paragonarsi agli Usa o alla Russia».


Il peso reale sulla scena internazionale

Crosetto fotografa una realtà amara: i rapporti di forza contano e non si possono mascherare. L’Italia, pur avendo storia, cultura e un ruolo importante in alcune missioni internazionali, non incide realmente sulle decisioni globali.
Ma la questione è più ampia: anche la Russia, tradizionalmente considerata una superpotenza, mostra oggi crepe profonde – economia in difficoltà, PIL inferiore a quello italiano, dipendenza crescente dalla Cina e incapacità di chiudere il conflitto in Ucraina in oltre tre anni. Eppure Mosca resta una potenza militare. Diverso il caso degli Stati membri dell’UE, Francia e Regno Unito inclusi, che senza l’ombrello statunitense hanno dimostrato limiti evidenti, come nell’intervento in Libia, quando dopo pochi giorni finirono le scorte di munizioni.


 

Europa: potenza mancata

Il presidente Sergio Mattarella lo ha detto con chiarezza: l’Europa è fatta di «Paesi piccoli e di quelli che non hanno ancora compreso di essere piccoli anch’essi». Crosetto individua la radice del problema: l’UE non è uno Stato. Se Stati Uniti e Cina giocano in “serie A”, l’India punta a raggiungerli, la Russia è in “serie B” e l’Europa – frammentata – resta in “serie C”.
L’unica via per invertire la rotta, secondo questa analisi, sarebbe trasformare l’UE in un’entità statuale federale, con un governo democratico dotato di competenze su politica estera, difesa, sicurezza e bilancio. È una linea che anche Mario Draghi aveva sostenuto: senza un’Europa unita politicamente, il nostro modello sociale rischia di non sopravvivere.


Von der Leyen e il malinteso politico

Crosetto ha definito la Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen un’“amministrazione regolatoria e burocratica, tutt’al più monetaria, senza politica estera e senza un leader eletto dal popolo”. Ma il paragone con la politica nazionale smonta almeno in parte questa lettura: von der Leyen è stata candidata del Partito Popolare Europeo, vincitore delle elezioni europee 2024, ed è stata eletta a maggioranza assoluta dal Parlamento Europeo. Un percorso democratico analogo a quello che ha portato Giorgia Meloni a Palazzo Chigi.
La Commissione non è solo un apparato burocratico: rappresenta l’embrione di un governo federale parlamentare. Tuttavia, non avendo ancora piene competenze, non può esercitare la leadership necessaria in scenari globali complessi.


Un’occasione storica per l’Italia

Se Crosetto ha ragione nell’analisi, la conseguenza politica è inevitabile: Roma dovrebbe guidare un’iniziativa per dotare l’UE dei poteri reali in politica estera, sicurezza, difesa, fiscalità e bilancio, inclusa l’emissione di debito comune, e superare il principio dell’unanimità che paralizza le decisioni.
La storia italiana offre precedenti: da De Gasperi a Andreotti, passando per le visioni federaliste di Spinelli, il nostro Paese ha saputo incidere nei momenti chiave del processo di integrazione. Oggi, con Macron senza maggioranza e il governo tedesco di Merz in difficoltà, lo spazio politico esiste. L’adesione, due anni fa, agli Amici della maggioranza qualificata in politica estera apre un varco.
Per Meloni, questa potrebbe essere l’occasione di passare dalla politica di gestione a una leadership europea vera, capace di incidere sul futuro del continente.

 

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