Carabinieri

CORVETTO: QUANDO LO STATO MISE IN PANCHINA I SUOI CARABINIERI

Il Retrogusto Amaro di una Scelta

Pare che a Milano lo Stato abbia fatto un passo indietro, almeno per qualche giorno. Dopo la morte del giovane Ramy Engalm in quel maledetto incidente al Corvetto, le autorità hanno deciso di giocare una carta che sa tanto di resa temporanea: via i Carabinieri dalla zona calda, dentro la Polizia. Una mossa che puzza di compromesso, orchestrata per placare gli animi ma che lascia l’amaro in bocca a chi veste la divisa.

Il Balletto delle Competenze

Chi mastica le strade di Milano sa bene che la città è divisa in tre fette come una torta: due alla Polizia, una ai Carabinieri. E guarda caso, proprio quel pezzo di città ribelle chiamato Corvetto è – o meglio, era – territorio dell’Arma. Sembra che qualcuno ai piani alti abbia pensato bene di rimescolare le carte, almeno per un po’. Una decisione che ha fatto storcere più di un naso tra i militari.

L’Indagine che Scotta

Mentre la Procura setaccia i video delle telecamere come cercasse l’ago nel pagliaio, si rincorrono voci e controvoci. Un testimone giura di aver visto il contatto fatale tra gazzella e scooter. Le Iene buttano benzina sul fuoco con testimonianze di presunte pressioni per cancellare video. L’Arma risponde piccata: “Non facciamo certe cose, mai fatto, mai faremo”.

La Voce della Strada

Intanto, mentre l’imam predica calma e responsabilità ai funerali di Ramy, nei corridoi delle caserme serpeggia un malcontento che sa di beffa. I militari hanno obbedito agli ordini, come sempre, ma con un peso sul cuore. E quella raccolta fondi da 50mila euro per le spese legali del collega indagato? Sa tanto di solidarietà spontanea, di chi non ci sta a passare per carnefice.

L’Amaro in Bocca

C’è qualcosa che stona in questa storia, e non sono solo le sirene delle volanti. Mentre lo Stato arretra tatticamente nelle strade del Corvetto, chi indossa la divisa si ritrova a fare i conti con una solitudine che fa male. Anche il silenzio del neo comandante generale Luongo stride con la memoria dei suoi predecessori, sempre pronti a salire in cattedra per chiedere – giustamente – la testa di chi sbagliava. Ma oggi? Oggi pare che la bilancia della giustizia penda solo da un lato.

La Domanda che Brucia

E qui viene il bello – o meglio, il brutto. Se chi sbaglia finisce alla gogna mediatica prima ancora di un processo, che tutele ha chi fa semplicemente il proprio dovere? Chi rischia la pelle ogni notte per uno stipendio che fa sorridere? La matematica non è un’opinione: se da una parte si punisce (anche platealmente) chi commette errori, dall’altra il silenzio assordante sulla protezione di chi serve lo Stato con onore fa più rumore di mille sirene spiegate. È questo lo Stato che dovrebbe tutelare le sue divise? La risposta, per ora, resta sospesa nell’aria pesante del Corvetto. Come una domanda che nessuno vuole davvero affrontare.

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