Colonnello Paternò “Magistrato in piazza durante i disordini. Che ci stia lui a prendersi insulti, sputi e sassi in faccia, e che sia lui ad ordinare cosa fare quando gli argini si rompono e la violenza dilaga”
di Salvino Paternò – colonnello dei carabinieri in congedo, docente di Criminalistica nei corsi Scienze criminologiche e forensi all’Università di Roma La Sapienza.
Nel corso dei violenti tafferugli scatenati a Genova dagli eroici antifascisti, un giornalista di Repubblica rimane coinvolto nella carica della polizia fascista e si becca un paio di manganellate.
Apriti cielo! “Con quale ardire e come avete osato colpire me che sono un blasonato?”.
E poi, cari poliziotti torturatori, se volevate bastonare uno dei tanti giornalisti presenti come avvoltoi proprio nell’area di contatto tra gli schieramenti, ma proprio uno di Repubblica dovevate scegliere? E allora ditelo che cercate guai!
«Ho pensato di morire», si lagna il martire cronista, «vedo ancora quegli anfibi neri, che mi passavano davanti al volto». E che diamine! Pure gli anfibi! Ma non sarebbe ora di sostituirli con delle infradito d’ordinanza?
E così scatta il processo di beatificazione mediatica del giornalista che, nel cercare la notizia della violenza sbirresca, non gli par vero di divenire egli stesso notizia. E all’episodio, ovviamente, tutti gli organi di “informazione” dedicano più tempo e più passione di quella riservata al Maresciallo dei Carabinieri trucidato un mese fa a Foggia, o al poliziotto a cui giorni fa un clandestino ha staccato il dito a morsi, o a quella moltitudine di anonimi uomini delle forze dell’ordine che quotidianamente subiscono aggressioni.
«Ci vogliono i dati identificativi sulle divise!», si ritorna a sbraitare. Eh già, quelli sono veramente indispensabili, mica una cacchio di pettorina obbligatoria per i cronisti presenti nelle “zone di guerra”. Di quella non c’è bisogno, perché qualunque poliziotto, dopo ore di guerriglia, dopo essere stato bersaglio di lanci di pietre pacifiste e colpi di spranghe democratiche, nel momento in cui scatta la carica non può non essere capace di riconoscere l’aura divina che aleggia sul capo dei giornalisti mischiati tra i manifestanti.
In men che non si dica, la procura di Genova apre un fascicolo contro i poliziotti. «Ciò che è accaduto è inconcepibile. Non faremo sconti a nessuno», si affrettano a dire i magistrati inquirenti.
Ma sul serio? E, di grazia, chi li ha mai chiesti siffatti sconti? Quello che da anni, invece, chiedono le forze di polizia è la presenza di un magistrato in piazza ogni qualvolta ci siano disordini. Altro che sconti! Che ci stia lui, con casco e scudo, in prima fila, a prendersi insulti, sputi e sassi in faccia, e che sia lui ad ordinare cosa fare quando gli argini si rompono e la violenza dilaga.
Sarebbe per loro un’esperienza interessante, pur se tragicomica. Proverebbero per la prima volta cosa significa dover fronteggiare una massa di trogloditi inferociti. Insomma, sarebbe una nuova esperienza formativa che completerebbe il quadro conoscitivo dei disordini di piazza. Eh sì, lo completerebbe, perché credo che molti di loro, da giovani studenti, abbiano ben appreso cosa significhi, invece, stare dall’altra parte della barricata… quella “giusta”, ovviamente.