Avvocato Militare

Cassazione: confermata la condanna al Maresciallo GdF, una stecca di sigarette costa dieci mesi di reclusione

La Suprema Corte chiude il caso: appropriazione indebita, nessuna lieve entità. Confermata la condanna a dieci mesi.

(di Avv. Umberto Lanzo)


Il fatto: una stecca sotto suggello, un maresciallo sotto accusa

La Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione (sentenza n. 24909/2025, presidente Monica Boni, relatore Stefano Aprile) ha messo la parola fine a una vicenda che intreccia diritto penale militare e quotidiane attività di controllo doganale.

Il protagonista è un Maresciallo Capo della Guardia di Finanza, condannato a dieci mesi di reclusione militare per essersi appropriato di una stecca di sigarette facente parte di un carico sottoposto a “suggello” doganale. La merce, a bordo di una nave panamense in transito nel porto di Oristano, era affidata alla custodia del militare in ragione del suo servizio.

Il Tribunale militare di Roma (7 marzo 2024) e la Corte militare d’appello (15 gennaio 2025) avevano già riconosciuto la responsabilità penale, applicando le attenuanti di cui all’art. 62 n. 4 e 62-bis c.p., ma confermando la qualificazione di peculato militare (art. 3 L. 1383/1941 in relazione all’art. 215 c.p.m.p. e art. 47 n. 2 c.p.m.p.).


La difesa: “mera illazione, poteva essere un dono del comandante”

Il ricorso ha tentato una duplice strategia:

  • da un lato, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della L. 1383/1941, ritenuto troppo rigido e sproporzionato, specie se paragonato alle recenti aperture della Corte Costituzionale sul delitto di rapina (sent. n. 86/2024) e sul peculato comune;
  • dall’altro, la contestazione probatoria, sostenendo che nessuno avesse visto il militare appropriarsi della stecca, che poteva derivare da un errore di conteggio, da una scorta personale del comandante della nave o addirittura da una regalia.

In aula, il Procuratore generale militare Roberto Bellelli ha chiesto l’inammissibilità del ricorso, mentre la difesa ha insistito sull’accoglimento delle censure.


La risposta della Cassazione: appropriazione chiara, illazioni senza fondamento

La Suprema Corte ha dichiarato manifestamente infondata la questione di costituzionalità, ricordando che la fattispecie del peculato militare, pur affine a quella del peculato comune, prevede un trattamento sanzionatorio già più mite, con pena minima ridotta a due anni (rispetto ai quattro del peculato comune).

Quanto alla responsabilità, i giudici hanno sottolineato che la prova era solida:

  • la stecca di sigarette fu sequestrata all’imputato, che l’aveva occultata su un veicolo civile subito dopo le operazioni di riscontro;
  • il conteggio delle 95 stecche iniziali coincideva con le 93 residue, più quella trovata al maresciallo e un’ulteriore sottratta da un civile fuggito sul posto;
  • l’ipotesi del dono del comandante rimaneva una semplice congettura, smentita dal silenzio processuale dell’imputato.

Il diritto: il peculato militare resta fermo

La Corte ha ribadito un principio di sistema: appropriarsi anche di un solo bene sottoposto a suggello doganale equivale a peculato militare. Non rileva il valore minimo della cosa sottratta né la possibilità di considerare il fatto di lieve entità, esclusa espressamente dalla normativa (art. 131-bis c.p. non applicabile).

Richiamando la propria giurisprudenza e la Corte Costituzionale (nn. 286/2008, 448/1991, 244/2022), i giudici hanno sottolineato la piena legittimità della disciplina, pensata per tutelare la fiducia pubblica nella Guardia di Finanza, chiamata a presidiare la legalità economico-finanziaria.


La condanna finale

Il ricorso è stato rigettato, con condanna del maresciallo anche al pagamento delle spese processuali (art. 616 c.p.p.).

La sentenza richiama un messaggio netto: anche la più piccola appropriazione di beni sotto custodia militare mina l’integrità del servizio e l’affidabilità delle istituzioni.
Una stecca di sigarette può valere dieci mesi di reclusione: così la Cassazione ribadisce che la legalità non ammette “zone franche”.


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