Caso Diciotti: la Cassazione impone il risarcimento. Ecco perché il Governo avrebbe violato la legge
Le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione si sono pronunciate sulla richiesta di risarcimento per danni non patrimoniali avanzata dai migranti a bordo della nave “U. Diciotti”, bloccata in mare per dieci giorni nell’agosto 2018 a causa del mancato consenso all’attracco nei porti italiani. La sentenza ha cassato la decisione della Corte d’Appello di Roma (n. 1804 del 13 marzo 2024), che aveva riconosciuto la giurisdizione ordinaria ma aveva escluso la responsabilità della pubblica amministrazione per mancanza di colpa e assenza di prova del danno. La Cassazione ha invece stabilito che lo Stato italiano è tenuto a risarcire i migranti per la restrizione della loro libertà personale.
La qualificazione giuridica dell’atto: politico o amministrativo?
La Cassazione ha stabilito che il rifiuto dell’autorizzazione allo sbarco dei migranti non può essere considerato un atto politico sottratto al controllo giurisdizionale, ma rientra invece tra gli atti amministrativi, soggetti quindi a verifica giudiziaria. La decisione chiarisce che le motivazioni politiche non mutano la natura giuridica di un atto amministrativo e che il potere governativo, anche discrezionale, deve rispettare i limiti imposti dalla Costituzione e dal diritto internazionale.
«L’azione del Governo, ancorché motivata da ragioni politiche, non può mai ritenersi sottratta al sindacato giurisdizionale quando si ponga al di fuori dei limiti che la Costituzione e la legge gli impongono, soprattutto quando siano in gioco i diritti fondamentali dei cittadini (o stranieri), costituzionalmente tutelati», si legge nella sentenza.
Obbligo di soccorso in mare e normativa internazionale
L’ordinanza richiama le principali fonti giuridiche in materia di soccorso in mare:
- Convenzione SOLAS (1974) (Safety of Life at Sea), ratificata dall’Italia con la legge 23 maggio 1980, n. 313;
- Convenzione SAR (1989) (Search and Rescue), ratificata con legge 3 aprile 1989, n. 147;
- Convenzione UNCLOS (1982) (United Nations Convention on the Law of the Sea), ratificata con legge 2 dicembre 1994, n. 689.
Questi trattati impongono agli Stati di garantire assistenza a chi si trova in pericolo in mare e di indicare un luogo sicuro (POS – Place of Safety) per lo sbarco “nel più breve tempo ragionevolmente possibile”. La Cassazione ha ritenuto che lo Stato italiano abbia violato tali obblighi, causando un’illegittima privazione della libertà dei migranti.
«L’obbligo del soccorso in mare corrisponde a una regola di carattere consuetudinario e rappresenta il fondamento delle principali convenzioni internazionali. Esso deve considerarsi prevalente su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare», afferma la Corte.
La questione della libertà personale
«In assenza di un provvedimento amministrativo espresso, men che meno della relativa convalida giudiziaria, la condotta della P.A. che priva l’individuo della libertà personale per ben dieci giorni, costringendolo negli angusti limiti spaziali di una nave militare, realizza una detenzione arbitraria a fronte della quale non è minimamente configurabile nemmeno in nuce l’esercizio del potere amministrativo, tale non essendo la mera condotta materiale che si esplica al di fuori ed al di sopra della legge ed in primis della Costituzione», afferma la Cassazione.
Uno dei punti cruciali del ricorso riguardava la violazione del diritto alla libertà personale, protetto dall’articolo 5 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). Secondo la Cassazione, il trattenimento dei migranti a bordo della “Diciotti” ha costituito una detenzione arbitraria, poiché non giustificata da alcun provvedimento amministrativo o giudiziario, violando così i diritti fondamentali delle persone a bordo.
«Il trattenimento a bordo della nave Diciotti integra una violazione della libertà personale ai sensi dell’art. 5 CEDU, in quanto priva i migranti di un’effettiva possibilità di lasciare l’imbarcazione, senza un provvedimento giustificativo e senza la possibilità di un ricorso effettivo», sottolinea la sentenza.
Responsabilità della pubblica amministrazione e obbligo di risarcimento
La Corte ha stabilito che la pubblica amministrazione ha agito in violazione delle norme nazionali e internazionali, privando illegittimamente della libertà personale i migranti per dieci giorni senza una giustificazione legale adeguata.
«Perché un evento dannoso sia imputabile alla responsabilità della P.A., l’illegittimità dell’atto non è sufficiente: è necessario valutare la colpa dell’amministrazione e l’assenza di un errore scusabile. Nel caso di specie, la restrizione imposta ai migranti è priva di una base giuridica idonea», si legge nel testo della sentenza.
Di conseguenza, lo Stato italiano è tenuto a risarcire i migranti per il danno subito.
La legge prima di tutto
La sentenza della Cassazione dimostra che la legge non può essere piegata a esigenze politiche del momento. Ogni decisione governativa deve rispettare i principi fondamentali dello Stato di diritto e il quadro normativo nazionale e internazionale. Se una scelta politica si scontra con la legalità vigente, allora non è la legge a dover essere forzata, ma è la politica che deve assumersi la responsabilità di modificarla, nei limiti delle garanzie costituzionali e del diritto internazionale.
In uno Stato democratico, il rispetto delle regole è imprescindibile. Forzare la legge non solo espone a conseguenze giuridiche, ma mina la credibilità delle istituzioni. Il caso della “Diciotti” ci insegna che le scelte politiche devono essere fatte con consapevolezza: se non si vogliono rispettare le regole, allora bisogna cambiarle, ma farlo nel modo giusto, perché, alla fine, le decisioni sbagliate le pagano sempre i cittadini, non chi le prende o chi le esegue, soprattutto quando queste hanno ripercussioni sul piano internazionale. Se si è alla guida di uno Stato, si deve agire con consapevolezza: non si tratta di una scelta personale, ma di una responsabilità che incide su milioni di persone e sulla nostra dignità collettiva.
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